Intorno agli inizi del VI secolo d.c., a seguito del lento abbandono del luogo dove era sorta Aequum Tuticum, la popolazione va ad occupare un area nuova “vuota”, posta su un'altura a sud a circa 8 chilometri di distanza.
Inizia quindi l'insediamento sul "Tricolle”, l’attuale area di Ariano, erede diretto di Aequum Tuticum, che, grazie alla posizione topografico-politica, diventa la principale roccaforte longobarda a diretto contatto con i domini greci della Puglia. E’ senz’altro in una posizione più difendibile per via della sua altura, appartato rispetto alle grandi vie di comunicazione, al riparo, perciò, dal continuo andirivieni di Goti e Bizantini.
Essa è anche un'area anticamente sacra, perchè sul primo colle, ora Piano della Croce, si insediava il tempio di Giano, da cui probabilmente deriva il nome Ariano “Ab Ara Iani” e sul secondo, l'attuale Cattedrale, si ergeva il tempio di Apollo.
Esistono altre due interpretazioni del nome Ariano. Secondo la prima il nome deriverebbe dalla presenza di un "fundus Arianus", che a sua volta potrebbe derivare dal sacello dedicato al Dio Giano, in ciò avvalorato da numerosi rinvenimenti epigrafici. Un’altra interpretazione farebbe derivare il nome dal termine "ayrale" (luogo incolto).
Con l’arrivo dei Longobardi, la conquista di Benevento, tolta ai Greci-Bizantini da Zotone, e la nascita del Ducato Longobardo che ebbe durata dal 571 al 774, il territorio di Ariano rientra in quella sfera di influenza politica e religiosa. Nel X sec. il guastaldato Ariano diventa contea.
Nel 1017 un gruppo di cavalieri normanni, di ritorno dalla Terra Santa si fermò in Italia, e tre anni dopo fu al servizio dei Bizantini dominatori della vicina Puglia. Il potere dei Normanni crebbe al punto che nel 1042 spodestarono i Bizantini e divennero padroni assoluti di tutta la regione. Più tardi, nel 1096, dopo aver scacciato i musulmani dalla Sicilia, gli stessi dettero origine al Regno Normanno, successivamente diviso in contee. Guglielmo divenuto Conte della regione, divise le terre conquistate con altri 11 compagni tra cui Gerardo di Bonne Herberg (Buonalbergo) cui toccò una vasta zona compresa tra Ariano e Morcone. La Contea di Ariano conosce, con il conte Gerardo e i suoi successori Ariberto e Giordano, la fase del suo massimo prestigio e potenza. Nel 1122, quale risultato della lotta tra Guglielmo duca di Puglia, alleato con Ruggero II re di Sicilia, e Giordano conte di Ariano, Casalbore e Buonalbergo, l’esercito pugliese-siciliano costrinse quest’ultimo alla fuga. Cinque anni più tardi il figlio di Giordano, Ruggero, fu fatto prigioniero e spedito in Sicilia con la moglie; pertanto, nel corso di tali vicende, Ariano si ritrovò alle dipendenze del re di Sicilia, sotto influsso pugliese. Cancellati i Longobardi e i Bizantini dalla regione, i Normanni potenziarono il vecchio castello longobardo di Ariano, costruendo una struttura possente quadrangolare e trasformando la città in uno dei maggiori centri del loro dominio. Con i Normanni, Ariano assunse nuovamente un ruolo di primaria importanza e fu scelta come centro di un vasto territorio che comprendeva larga parte del Sannio e dell'Irpinia.
Nel suo Castello, potenziato e ingrandito, nell’estate del 1140, Ruggero II il Normanno, Re delle Due Sicilie, tenne il suo primo Parlamento ed emanò la nuova costituzione “Costitutiones Regni Siciliae” nelle famose Assise di Ariano, battendo la nuova moneta d’argento il Ducato, che durerà fino al 1860, ed i “Tre Follari” da sostituirsi questi alle antiche “Romesine”. Le Assise rappresentavano una sintesi di tradizioni giuridiche diverse, ispirate al diritto romano, al Codice Giustinianeo, all'Editto di Rotari, al diritto canonico, alle testimonianze bibliche e cristiane.
(vedi anche [1] su Wikipedia)
Ruggero II d'Altavilla promulgò con le Assise di Ariano un corpo di leggi che sanzionò la nascita del Mezzogiorno d'Italia quale entità politica autonoma ed unitaria.
Nel suo Castello, potenziato e ingrandito, nell’estate del 1140, Ruggero II, Re delle Due Sicilie, tenne il suo primo Parlamento ed emanò la nuova costituzione “Costitutiones Regni Siciliae” nelle Assise di Ariano, battendo la nuova moneta d’argento, il Ducato, che durerà fino al 1860, ed il “Follaro”, moneta di rame che sostituì l'antica “Romesina” secondo il cambio di 3 a 1. Le Assise rappresentavano una sintesi di tradizioni giuridiche diverse, ispirate al diritto romano, al Codice Giustinianeo, all'Editto di Rotari, al diritto canonico, alle testimonianze bibliche e cristiane.
"Molteplici sono le ragioni del perdurante interesse verso quelle leggi. Il complesso delle questioni legate alla loro nascita occupa infatti un posto rilevante nella storia delle fonti del diritto italiano. Le Assise costituiscono un ordinamento originale non solo per essere una sintesi di tradizioni giudiche diverse, innestate sul tronco di un diritto romano adeguato all'ambiente cristiano ed alle condizioni di vita del momento, ma soprattutto perché, anticipando i tempi, la loro validità di fatto deriva dall'affermazione della sovranità dello Stato.
Ulteriore motivo d'interesse più marcatamente storico-politico sta poi nel fatto che le Assise sono il primo corpo di leggi emanato per l'intero regno meridionale dal suo fondatore - che infranse così il principio della personalità, affermando invece quello della territorialità della legge - e costituiscono il nucleo da cui si è sviluppato il diritto che per circa sette secoli ha regolato la vita del Mezzogiorno d'Italia. Sotto tale profilo deve anzi convenirsi che le più famose Costituzioni di Melfi, emanate quasi un secolo dopo delle Assise da Federico II, per essere in gran parte uno sviluppo di quest'ultimo, vanno riguardate come opera prevalentemente "consolidatoria". Le Assise infine hanno rilievo perché costituiscono una sorta di manifesto della società meridionale del tempo, osservata non solo dal punto di vista isituzionale ma anche da quello del vivere quotidiano" (*).
(*) Considerazioni estratte dal pensiero di Ortensio Zecchino (1994)
Qui di seguito, a titolo d'esempio, un breve estratto.
Nessun vescovo osi ordinare gli ascrittizi senza il consenso di quelli al cui diritto sono sottoposti. Il giudeo e il pagano non osino comperare come servo un cristiano, nè possederlo ad altro titolo.
Mimi, mime, cinedi e prostitute non usino in pubblico abiti e vesti monacali o clericali; se abbiano osato tanto siano pubblicamente flagellati.
Se qualcuno abbia osato rapire a fine di matrimonio vergini consacrate o che non abbiano ancora indossato il velo, sia punito con pena capitale.
Con la presente legge stabiliamo che sia fatto obbligo a tutti quelli che hanno intenzione di contrarre legittimo matrimonio di chiedere, dopo gli sponsali solennemente, ciascuno a suo modo e piacimento, di entrare in chiesa per ottenere la benedizione dei sacerdoti; dopo che è seguita l'investigazione pongano l'anello e si sottomettano alle preghiere e alle richieste del sacerdote, se vogliono riservare la successione ai futuri eredi. Sappiano inoltre quelli che d'ora in poi si pongono contro il nostro editto reale che, secondo la nostra disposizione non avranno come eredi legittimi, nè per testamento nè per successione ab intestato, i nati dal matrimonio illecito; le donne non abbiano neanche la dote legittima dovuta alle altre spose. Liberiamo infine da questo vincolo obbligatorio quelli che vogliono sposare le vedove.
Con legge generale ordiniamo, tutte le volte che per nostra cura e disposizione sia stata presentata ai giudici una accusa di adulterio o stupro, di osservare le persone con occhio non annebbiato, di considerare le condizioni, di indagare sull'età e sull'intenzione, se si siano spinte al delitto con premeditazione e consapevolezza, o con leggerezza dovuta all'età, o vi siano cadute, o soprattutto per risentimento nei confronti del marito; affinché indagate tutte queste cose, dopo averle verificate con prove o averne constatata l'evidenza, venga pronunciata la sentenza più mite o più severa per le trasgressioni commesse non secondo il rigore delle leggi, ma con la bilancia della equità. Amministrata infatti così, la nostra giustizia corrisponde alla giustizia divina. Mitigata dunque l'asprezza delle leggi, non si deve infliggere come una volta la pena di morte con la spada, ma si deve applicare la confisca del patrimonio di lei, se non abbia avuto figli legittimi dal matrimonio violato o da altro. È infatti ingiusto che siano privati della successione quelli che sono nati al tempo in cui la legge della convivenza coniugale era legalmente rispettata. Deve invece essere consegnata al marito che in nessun modo dovrà infierire a rischio della vita, ma dovrà punire l'adulterio con il taglio del naso, e ciò sia fatto inesorabilmente e nel modo più esemplare, ma non sarà lecito nè al marito nè ai genitori infierire oltre. Se poi suo marito non si sarà voluto vendicare su di lei, noi non lasceremo che un delitto di tal fatta resti impunito ed ordiniamo pertanto che venga pubblicamente flagellata.
Quando si procede per ingiurie siano molto attenti i giudici a considerare il prestigio dei dignitari della curia ed emanino la sentenza secondo la qualità delle persone, di coloro cioè ai quali sono fatte (le ingiurie) e di coloro che le fanno e quando e se sia ritenuta la temerarietà emanino la sentenza secondo la qualità delle persone; l'ingiuria rivolta ad essi non costituisce però offesa soltanto ad essi ma anche alla dignità regia.
Chiunque abbia ucciso l'aggressore o il ladro, trovandosi in pericolo di vita, non deve temere per questo fatto alcuna accusa.
Non è punibile chi abbia ucciso uno di notte se non sia stato possibile fermarlo diversamente, purché ciò avvenga con clamore.
Ciò che è conforme al diritto e alla ragione è abbastanza ben accetto a tutti, mentre ciò che si discosta da un criterio di equità rappresenta per tutti una cosa inaccettabile. A nessuno fà perciò meraviglia se il sapiente e l'amico dell'onestà ragionevolmente si indigna quando sia trascurato, disprezzato e offeso iniquamente ciò che di più elevato e degno Dio abbia inculcato nell'uomo. Cosa c'è infatti di più assurdo del fatto che sia valutato allo stesso modo lo strappo della coda del cavallo e lo strappo della barba di un galantuomo? Pertanto su suggerimento e su preghiera del popolo soggetto al nostro regno, consapevoli dell'inadeguatezza delle sue leggi, proponiamo questa legge ed editto: qualora ad uno qualunque del popolo sia stata consapevolmente e deliberatamente strappata la barba, il reo di tale atto subisca una pena di questo tipo, sei soldi d'oro, cioè reali; se invece il fatto sia avvenuto involontariamente e senza premeditazione, nel corso di una rissa (sia condannato a pagare) tre dei medesimi soldi.
Gli Svevi
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Gli Angioini
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Gli Aragonesi
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