Ciò che è accaduto negli Stati Uniti lo scorso 6 gennaio a Capitol Hill (Palazzo del Congresso USA) durante la ratifica della vittoria di Joe Biden alle elezioni 2020, contro l’ormai sconfitto Donald Trump, ha dell’inverosimile.
Le immagini di una folla di manifestanti trumpiani - aizzati da un comizio tenuto dall’ex-presidente poco prima - che assaltano il Campidoglio, non fermati da una polizia decisamente impreparata, hanno fatto il giro del mondo. Vuote ed inutili le successive parole dello stesso Trump, cercando di evitare il peggio: “Non vogliamo che nessuno venga ferito.”Ed in realtà i feriti si sono avuti eccome! Il bilancio di questo scenario agghiacciante è stato: 4 morti, 13 feriti e 53 arresti.
Ma come si è arrivati a quello che molti hanno definito “Attacco alla democrazia” o “colpo di stato?”
La battaglia di Trump, che da ex-presidente degli Stati Uniti, sembra essersi convertito in un bambino capriccioso incapace di accettare la sconfitta, è iniziata a suon di ricorsi contro tutti i tribunali, alludendo a delle elezioni truccate, ad un ipotetico furto di voti e all’illegittimità di Biden. Peccato solo che tutti i ricorsi siano stati respinti. La sconfitta repubblicana è stata totale: per la prima volta da dieci anni sono in minoranza al Senato, hanno perso la Camera Bassa e soprattutto la Presidenza.
Alla luce di questi dati inconfutabili, Trump ha reagito attraverso il classico delirio complottista riversato sui social. Arriviamo quindi al nocciolo della questione: l’influenza e lo strapotere che le piattaforme sociali stanno assumendo nel nostro mondo.
The Donald li ha utilizzati per ottenere consenso, puntando sul malcontento generale, sul nazionalismo esasperato, sull’odio per lo straniero, creando un populismo pericoloso che rispondeva veemente agli slogan di “Make America Great Again” e“American First” (tra l’altro strategia comunicativa apprezzata ed adottata da molti esponenti della nostra classe politica).
Poi, improvvisamente il declino. L’altra faccia della medaglia di uno strumento tanto potente e tanto pericoloso, come i social network. Il primo tweet di Trump segnalato risale al 26 maggio 2020, quando l’ex-presidente statunitense parlò di un esito elettorale falsato. Da lì incominciò la battaglia, non solo del tycoon newyorchese contro una verità che fatica ad accettare, ma anche dei social contro un personaggio che incarna a pieno la deriva della comunicazione attraverso internet.
Da arma che ti trascina alla vittoria, a testimone di un declino inarrestabile. I social (in primis Facebook e Twitter) si sono apertamente schierati contro l’ormai ex presidente statunintense, censurando i suoi account, accusandoli di inneggiare all’odio e alla violenza.
Più che interrogarci se questa sia censura o meno, se si possa veramente parlare di attacco alla democrazia, di violazione della libertà del cittadino, forse sarebbe meglio renderci conto come ormai viviamo in un mondo controllato, governato, manipolato dai e attraverso i social.Ciò che bisognerebbe chiedersi, quindi, è: un social ha il diritto di silenziare i suoi utenti?
In questa prospettiva non pare irreale l’avvento di un’epoca in cui il motivo di conflitto sarà proprio l’accaparrarsi il totale controllo della rete, che ora come ora, è l’unica potenza veramente imbattibile.