Quando arriva la fine di un anno ci si riscopre sempre un po’ malinconici, con il cuore invecchiato ed uno sguardo diverso. Trasognati, ci si perde a ripercorrere il passato, le esperienze vissute, le opportunità perse e quelle colte. Ci si sente orgogliosi, notando i cambiamenti e gli obiettivi raggiunti, ma anche un po’ sconfitti, perché di obiettivi ne mancano molti e di traguardi da raggiungere altrettanti.
Alla fine di un anno si fanno bilanci: cosa è andato bene, cosa è andato storto, cosa non è andato affatto. Ci riscopriamo fragili, poiché indifesi di fronte ad un anno che verrà e di cui non sappiamo nulla, e bambini perché la curiosità è sempre quel motore inarrestabile che ci muove.
Sopravvivere a quest’anno è stata un’impresa, una di quelle cose che ti troverai tra vent’anni a parlare con gli amici e dirai: “Sai, ho vissuto una pandemia”.
E non ci si crede che effettivamente è stato così, che le nostre vite sono state messe in pausa per un anno, che l’attesa è stato l’unico sentimento possibile, che il dolore e la sofferenza sono stati all’ordine del giorno e che il mondo, il nostro invincibile mondo globalizzato sia diventato, mese dopo mese, lo scheletro di un qualcosa che non c’è e che non sarà più.
Quest’anno ci ha reso diversi, ci ha obbligato a fare i conti con noi stessi, con la vita che conduciamo. Ci ha tolto la possibilità di programmare, di pensare al futuro, -i più scettici direbbero- di sognare. Rinchiusi in casa, costretti alla compagnia di noi stessi. Quando ci si trova in questa situazione, liberi ma non veramente, si riscoprono tutte quelle cose che pensavamo di aver dimenticato: tornano a galla le delusioni, le aspettative, le date di scadenza da rispettare, che scandiscono le nostre vite come orologi inarrestabili. Il tempo ci sfugge dalle mani, sembrava marzo e adesso, privi di ricordi concreti, siamo già a fine dicembre.
Di questi tempi tutti eravamo intenti ad organizzare cenoni, cercare la festa all’ultimo momento, pronti a fare mattina, aspettando l’alba come quelle rivelazioni che ti piombano addosso e ti straniscono: un anno nuovo, un nuovo inizio. E invece adesso, cerchiamo, per proteggerci, un nemico da accusare. La testa si affolla di domande: e se ci avessero chiuso prima? E se non ci avessero chiuso affatto? Perché gli altri Stati hanno fatto così? Il vaccino funziona per davvero? E se tutto questo non finirà mai?
E se fosse andata diversamente?
Una risposta soddisfacente, una vera consolazione a tutti questi interrogativi, a tutto il dolore che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere, non può esserci, o almeno non ancora. Per un momento quindi, deponiamo le armi, mettiamo da parte ogni cosa e pensiamo, solo per un momento, che finalmente quest’anno è finito.
Ed è vero, non ci sono certezze, ed è tutto ancora un grande salto nel buio, ma alla fine di un anno c’è sempre quella piccola speranza, a cui tutti ci aggrappiamo, che il prossimo sarà diverso.
La speranza di una luce in fondo al tunnel.