In onore della Giornata Mondiale del Bacio (13 aprile), ci sembrava opportuno riflettere su quanto anche un gesto fisico così banale, oggi possa risultarci inverosimile o irrealizzabile.
Vietati abbracci, baci, strette di mano, ogni qualsivoglia contatto fisico, in virtù di un bene maggiore: impedire il contagio. Ma quali sono gli effetti sulla nostra psiche?
Possiamo ancora parlare di salute mentale, o faremmo meglio ad evitare il problema sorridendo sforzatamente e facendo finta che vada tutto bene?
Il distanziamento sociale e le limitazioni che scandiscono inevitabilmente la nostra quotidianità stanno portando un numero crescente di psicologi a studiare quello che sembrerebbe essere un disturbo a tutti gli effetti: la “fame di pelle”. Uno studio in via di pubblicazione (Tiffani Field, University of Miami, Florida) evidenzia come in America, nel primo mese di lockdown, si è verificato un sovraccarico di disturbi dell’umore, quali ansia e depressione, accompagnati da senso di affaticamento e disturbi del sonno. Gli intervistati hanno dichiarato di soffrire di carenza di contatto fisico affettuoso.
Ma davvero abbracciarci è così importante? A quanto pare sì! “Il contatto fisico -spiegano i co-presidenti della Società Italiana di Psichiatria di Giannantonio e Zanalda- provoca “un senso di sicurezza e appagamento, che a sua volta innesca modificazioni neurochimiche positive: l’aumento della produzione di ossitocina, l'ormone dell'attaccamento che ha un effetto tranquillizzante”,
A farne le spese sono stati anche i più piccini, che limitati in ogni tipo di attività di socializzazione, hanno sviluppato irritabilità, disturbi del sonno e di ansia. Dai 6 ai 18 anni in crescita anche l’instabilità emotiva e disturbi del comportamento alimentare.
I giovani e gli adolescenti sembrano essere state le vittime predilette di conseguenze psicologiche anche molto gravi, eppure la situazione non sembra essere migliore per coloro che hanno vissuto il Covid o hanno esperienze ad esso relazionate.
La “Sindrome del Sopravvissuto” è in termini scientifici quella che definiamo disturbo da Stress Post-Traumatico. In base agli studi ad oggi disponibili (Italia, Cina e Corea) gli esperti stimano che circa il 96% dei sopravvissuti abbia sviluppato sintomi quali incubi, allucinazioni, elevati livelli di ansia o depressione, irascibilità, frustrazione, terrore nel ritornare alla normalità.
Perché se da un lato l’agognato ritorno alla vita precedente e ciò che nutre le nostre flebili speranze, dall’altro per moltissimi sembra essere un vero e proprio incubo. La “Sindrome della Capanna o del Prigioniero”, altro non è che il terrore di uscire dalle mura domestiche, accompagnato da disturbi dell’ansia e acute depressioni. Innumerevoli le paure, di cui le principali sembrano essere: contagiare ed essere contagiati, il mondo esterno ed un suo ipotetico cambio, considerato non gestibile. Frequenti anche i casi di agorafobia: paura di luoghi non familiari, o comunque all’aperto o affollati, nei quali il soggetto si trova una condizione di ansia e smarrimento, dovuta alla situazione considerata pericolosa.
C’è una sofferenza psicologica diffusa e preoccupanti. Lo Stato dovrebbe occuparsi di preservare anche la salute mentale dei suoi cittadini e non solo quella fisica. È stato infatti istituita un’attività di supporto psicologico gratuito: “Psicologi per il coronavirus”.
Chiedere aiuto non è sbagliato, sottovalutare le malattie mentali lo è!
A sabato cari attenti lettori