Processo strage bus rinviato a settembre. Le lacrime e la rabbia dei parenti delle 40 vittime

di , Venerdì, 17 Luglio 2015

Avellino- Ci sono tragedie che il tempo amplifica all'infinito. Ci sono lacrime cristallizzate che si sciolgono sotto il solleone di una città che galleggia nell'afa di luglio. Ci sono date che restano nella memoria collettiva, e lutti che si fatica ad elaborare. Tra poco saranno trascorsi due anni dalla sciagura autostradale costata la vita a quaranta persone sulla Napoli-Bari.

Il bus che rientra da un breve soggiorno estivo alle terme di Telese precipita dal viadotto Acqualonga in territorio di Monteforte irpino. Un volo di trenta metri. Le urla disperate. 

Lo schianto al suolo, la morte. I soccorsi disperati. La A16 che va in tilt per molte ore.

Le polemiche, le accuse, le indagini. Mesi e mesi per ricostruire una dinamica agghiacciante, per risalire a un colpevole, per cercare le responsabilità.

Due anni dopo inizia il processo per una strage che ha commosso l'Italia e il mondo.

Processo avviato e subito rinviato a settembre per difetti nelle notifiche: la solita cavillosità giuridica italiana. Fuori e dentro l'aula ricavata nell'ex carcere borbonico di Avellino esplode la rabbia dei parenti delle vittime,di chi è sopravvissuto a un dolore che non ha eguali. 

Molti appresero la notizia direttamente in tv, dai collegamenti telefonici con i giornalisti irpini che tentarono di commentare con estrema delicatezza un orrore che non aveva alcun contorno di grazia nè paragoni. Due anni dopo quei familiari hanno pianto veramente per la prima volta tutte le lacrime che allora si erano cristallizzate, e hanno lanciato accuse contro il titolare del bus maledetto, il fratello dell'autista Ciro Lametta morto anch'egli in quella tragedia immane. "Sono morto anch'io"- ha però esclamato l'uomo uscendo dall'aula dell'ex carcere borbonico, circondato da una folla agitata e protetto dal servizio di ordine pubblico predisposto per l'occasione.



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