Nel mese di Febbraio la Regione Campania dovrà pronunciarsi circa la valutazione di impatto ambientale relativamente alla terza delle fasi di ricerca previste dal progetto “NUSCO” (Cogeid), ovvero la perforazione di un pozzo esplorativo entro duemila metri di profondità nel Comune di Gesualdo. Il convegno del 19 gennaio prossimo a Viggiano dedicherà uno spazio al Comitato NO Petrolio in Alta Irpinia per descrivere la propria esperienza e per sottoporre ai relatori alcuni dubbi tecnici sui rischi legati a questo progetto. Grazie all’ausilio del geologo Giuseppe Liotti, che ci ha aiutati ad analizzare il territorio irpino dal punto di vista tecnico, anticipiamo di seguito ciò che porteremo all’attenzione dei relatori al convegno.
Nella relazione inviata dalla Cogeid si parla dell’area identificata come “Gesualdo-1”, una zona attualmente in disuso che in passato era sede di un impianto di lavorazione di materiali inerti. La delimitazione dell’area e la sede fa si che siano prevedibili problemi di carattere superficiale, ma lo stesso non si può dire del sottosuolo dove, invece, i rischi sono incontrollabili e potenziali fenomeni di inquinamento sono difficilmente arginabili. Per questo motivo vanno analizzate le caratteristiche del territorio, ad esempio le mefiti del vicino centro termale di Villamaina. Le mefiti sono una mescolanza di gas (formati da elementi eterogenei la cui composizione è indicativa di una provenienza subcrostale) con acque più superficiali. Il fatto che alcuni elementi chimici subcrostali risalgano in superficie è sintomo che ci siano delle fratture nel sottosuolo che corrono lungo percorsi non necessariamente verticali (camminamenti meandriformi). Essendo la zona di riferimento per il pozzo esplorativo a pochi chilometri dalle terme, forando è possibile intercettare questi percorsi sotterranei mettendo in seria discussione l’apporto di acqua dalle caratteristiche termali nei pressi di Villamaina. Si parla dunque di danni non solo al settore turistico, ma anche all’ambiente circostante, andando a stravolgere un delicato equilibrio se pensiamo che oggi abbiamo acqua termale e domani potremmo avere petrolio. Questa problematica non viene analizzata in maniera adeguata dal progetto di ricerca.È risaputo inoltre che il sottosuolo è stratificato e dunque composto da materiale roccioso di tipologia differente a seconda della profondità. Gli strati potenzialmente produttivi (per quel che riguarda il petrolio) sono confinati tra rocce impermeabili argillose, ulteriori ammassi produttivi sono sede di ristagli idrici utilizzati dagli enti acquedottistici. Ogni strato trasmette le vibrazioni causate da terremoti in maniera differente. Tali variazioni costituiscono momenti di fragilità per la colonna di perforazione e dunque potenziali rischi di rottura tra uno strato e il successivo. Una prova macroscopica del differente comportamento dei terreni alle vibrazioni sismiche è il fenomeno della liquefazione (avvenuto ad esempio nella Piana del Dragone a Volturara durante il sisma del 1980). Una ulteriore problematica da considerare è che la Regione Campania è l’unica a non aver perfettamente regolamentato l’esecuzione dei pozzi, il che ne facilita la perforazione e il cui controllo non è efficace. Le possibilità di intervento a livello superficiale sono relativamente fattibili, lo stesso non si può dire a livello del sottosuolo, dove una frattura e conseguente rottura della tubazione potrebbe avere effetti superficiali non immediati ma ritardati nel tempo, a seguito di una deviazione del flusso di risalita dell’idrocarburo in maniera incontrollata.
Complessivamente Serino, Caposele, Cassano, Montemarano e Senerchia forniscono 12 metri cubi di acqua al secondo. Abbiamo un serbatoio naturale di acqua che rischia di essere compromesso in maniera irreparabile. Rischiamo di sostituire le riserve di acqua degli Appennini, nel nostro caso dei Picentini, con riserve di petrolio. L’acqua è indispensabile alla vita. Di fronte alla scelta bisognerebbe dire no al petrolio e cominciare a valutare le alternative rinnovabili.