Giovani e malati al centro della sua missione spirituale
Incontriamo Sua Eccellenza Monsignor Sergio Melillo, Vescovo della Diocesi Ariano Irpino-Lacedonia. “A tu per tu” con un Padre, un Pastore, un uomo. Semplice e deciso, diretto e immediato nelle risposte.
La solenne cerimonia di Ordinazione Episcopale si è tenuta il 31 luglio 2015 presso il Palazzetto dello Sport di Avellino, Giacomo Del Mauro. Mons. Sergio Melillo è nato ad Avellino nel 1956. È stato ordinato presbitero il 01 settembre 1989 ed è stato Vicario Generale della Diocesi di Avellino dal 06 ottobre 2005. Da subito ci ricorda l’inizio dell’ “Anno della Misericordia e l’apertura della Porta Santa” nonché l’Ordinazione di tre sacerdoti tenuta l’otto dicembre scorso.
Eccellenza quali sono i punti salienti del Sinodo dei Vescovi tenutosi dal 4 al 25 ottobre 2015?
C’è stata grande attenzione alla famiglia. In un’Assemblea ecclesiale a livello mondiale si è messo in evidenza la famiglia che si trova in una difficoltà epocale sia per motivi interni nella relazione uomo-donna sia per le scarse tutele che gli ordinamenti statuali danno a questo Istituto che è fondamentale che dà una prospettiva, un futuro, trasmette la vita anche per chi non è credente.
Alcuni giovani ritengono ci sia uno scollamento tra la Dottrina, le Istituzioni cristiane e la messa in pratica dei valori e delle virtù proprie della religione cattolica?
Di per sé per capire bene bisogna fare esperienza, bisogna porsi dal di dentro perché a volte siamo solo spettatori. Certo che ci sono dei limiti umani perché i cristiani sono fatti di carne ed ossa e ognuno ha le sue difficoltà e fragilità. Ma per poter capire bisogna coinvolgersi. A volte noi siamo condizionati dai media ed esprimiamo pareri su qualcosa che non conosciamo. Poi bisogna spogliarsi da quell’idea che la Chiesa è qualcosa che ci sta di fronte. Se uno non si incontra non si scontra matura giudizi e pregiudizi sulla Chiesa.
Lei mette in pratica la volontà di visitare scuole e ammalati senza farne per forza un incontro istituzionale, programmato e pubblico?
Sono abituato ad un rapporto di tipo ordinario. I contenuti non passano attraverso chissà quali grandi programmi ma attraverso la normalità delle relazioni. Ad esempio sono andato in Ospedale (ad Ariano Irpino, ndr) perché ho pensato fosse opportuno visitare dei bambini. Come Pastore, come credente mi sento di dire una parola di sostegno e di pregare soprattutto con chi è in difficoltà.
Se dovesse spiegare ai giovani chi è Gesù, cosa direbbe?
Gesù lo si incontra negli altri, nella Parola, nella vita della Chiesa, nella preghiera e dove una persona apre il cuore senza porre una barriera. Gesù lo si può incontrare continuamente se uno si spoglia di pregiudizi. Nelle Parrocchie, nelle Istituzioni religiose, nelle realtà dove tanti sacerdoti si adoperano uno incontra una speranza, uno stile. Non si tratta di un fatto intellettuale ma di un’esperienza personale.
In tanti non sognano più, non lottano, non si mettono in discussione…
C’è poca speranza perché c’è poca fiducia. Questo atteggiamento è indotto da una società ripiegata su se stessa. Se uno toglie Dio dall’orizzonte rimuove anche se stesso, è come se svuotasse un albero dalla linfa, dall’energia che, in questo caso, è spirituale e questa incapacità è frutto del peccato. Certo lo scenario a volte non è gratificante però Dio non è un consolatore e lo si sperimenta nelle relazioni e nelle comunità cristiane. La nota dominante è che deve esserci l’amore fraterno, quello vero che cambia il cuore e le vite, le prospettive e non ci fa rubare la speranza.
Qual è, oggi, il ruolo dei parroci nelle periferie?
Le Parrocchie sono luci accese nel buio. Sono punti di incontro, momenti di ascolto, fede vissuta al di là delle tradizioni e delle devozioni. Il parroco (malgrado il cambiamento epocale) oggi resta un cardine per chi ha bisogno di fiducia, speranza e incoraggiamento.
Il tema di questo numero di XD Magazine è la “Specialità”. Cosa ha trovato di speciale in questa terra?
Dal punto di vista geografico è una terra bellissima, ha panorami meravigliosi. Poi c’è un grande senso dell’accoglienza e della socialità, questo desiderio di incontrare il Vescovo e di trovare in esso una figura paterna, un punto di riferimento nella fede è un atteggiamento meraviglioso.
Chi sono oggi gli “affamati”, gli “assetati”, i “forestieri” (Matteo 25, 31-46)?
“Dare da bere” significa comunicare la verità delle cose al di là degli interessi che governano le relazioni. Educare alla verità, al bene questo significa dare da bere acqua limpida. I “forestieri” forse sono le persone che ci stanno più vicino. Se non abbiamo relazioni vere con chi condivide con noi la giornata si indossano delle maschere. Se si vive nella finzione dei rapporti, non si esercita l’accoglienza. Il forestiero non è solo l’emigrante che arriva da un posto di guerra in cerca di aiuto ma forse è la persona che ogni giorno incontriamo cui non diciamo nulla: “buongiorno”, “come stai”, “grazie”, “prego”. Gli “affamati” sono quelle persone che hanno necessità di saggiare i valori veri della vita, non quelli indotti, fittizi che riempiono apparentemente il desiderio ma di fatto non soddisfano il cuore.