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LE PRATICHE COMMERCIALI

1) Pratiche commerciali scorrette.
Una forma patologica della pratica commerciale sia ravvisabile nella scorrettezza della stessa. Nel
formulare la norma all’articolo 20 del Codice del Consumo, il legislatore ha inteso perseguire un
duplice obiettivo, per un verso ha preferito inserire una clausola generale in cui si impone un divieto
generale di compiere pratiche commerciali scorrette, ciò per consentire alla norma di sopperire anche
alle esigenze di tutela che possono scaturire nel tempo, mentre per un altro verso ha tipizzato due
fattispecie di pratiche commerciali scorrette: le pratiche ingannevoli e le pratiche aggressive,
all’interno delle quali è stato redatto un elenco (c.d. Lista nera) che prevede delle pratiche che sono
considerate sleali in ogni caso.
Una pratica commerciale per essere classificata come sleale deve rispondere a due criteri:
- In primo luogo, deve essere contraria all’obbligo di diligenza professionale, ossia il
professionista non utilizza l’attenzione e la speciale competenza che ci si aspetta da parte sua in virtu’
della posizione che occupa all’interno del rapporto con il consumatore.
- In secondo luogo, la pratica è falsa o è idonea a falsare in misura apprezzabile il
comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio, alterando la capacità di
quest’ultimo di prendere una decisione consapevole o portandolo ad assumere una decisione che
altrimenti non avrebbe preso.
Una volta analizzata in via generale cosi si intende per pratica commerciale sleale, possono essere
esaminate nel dettaglio le disposizioni riguardanti le pratiche commerciali che sono considerate
ingannevoli e/o aggressive.

2) Pratiche commerciali ingannevoli.
A norma dell’art. 21, si intende per pratica commerciale ingannevole quella che : “contiene
informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua
presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad
uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una
decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. Il codice pone in essere una
distinzione tra azioni ed omissioni , pertanto le azioni ingannevoli si identificano con tutte quelle
pratiche che consistono nel dare informazioni non veritiere o sono formulate in modo tale da indurre
il consumatore in errore riguardo ad una serie di elementi, come il prezzo, le quantità e le
caratteristiche dell’articolo. Rientrano tra le azioni anche quelle pratiche, che in concreto includano
attività di confusione con altrui marchi o segni distintivi, ovvero il riferimento a codici di condotta

adottati ma non rispettati. Vengono invece considerate pratiche commerciali ingannevoli di tipo
omissivo quelle in cui il professionista tralascia indicazioni utili al consumatore per non cadere in
errore nelle sue scelte di natura commerciale, l’omissione ingannevole viene configurata, nel
momento in cui, il professionista, per quanto non ometta le indicazioni essenziali, presenti
informazioni poco chiare, indecifrabili o ambigue per il consumatore. Anche la fattispecie in cui il
professionista, diffondendo un’informazione o rendendo pubblico un concetto, in maniera non
esplicita, sta facendo pubblicità ad un prodotto (la c.d. pubblicità’ occulta) . Quest’ultima può essere
posta in essere anche quando, per scopi promozionali, viene esibito il marchio di un prodotto di
un’impresa in un contesto che dovrebbe essere di puro intrattenimento.
Ciò che è importante sottolineare è che l’atteggiamento psicologico, quindi l’intento fraudolento o la
mera negligenza del professionista non rilevano nella valutazione dell’ingannevolezza della pratica,
essa è scorretta a prescindere.

3) Pratiche commerciali aggressive.
Altra tipologia di pratica commerciale scorretta è rappresentata da quelle aggressive, queste vengono
disciplinate all’interno dell’art. 24, il quale stabilisce che: “ È considerata aggressiva una pratica
commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del
caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito
condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di
comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad
indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. Anche
in questo caso la pratica messa in atto grava sulla libertà di scelta o di azione del consumatore, ma a
differenza delle pratiche ingannevoli, le pratiche aggressive si manifestano in atti di vera e propria
coercizione, fisica o psicologica che limitano la libertà di comportamento del consumatore. L’articolo
stesso individua i comportamenti che integrano la pratica aggressiva elencandoli in ordine di gravità,
questi sono:
- molestie: azioni di natura psicologica fortemente afflittive che condizionano le scelte,
- coercizione: utilizzo di forza o minacce
- indebito condizionamento : sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore
per esercitare una pressione, in moda da limitarne notevolmente la capacità di scelta.

Il successivo articolo 25 , individua altri principi che devono essere tenuti in considerazione al fine
della definizione del comportamento del professionista come molestia, coercizione o indebito
condizionamento. E’ statuito che devono essere valutati i seguenti elementi: a) i tempi il luogo e la

persistenza, b) se il professionista abbia usato minacce fisiche o verbali, c) se il professionista abbia
influenzato il consumatore sfruttando qualsivoglia circostanza tragica o il verificarsi di fatti gravi, d)
se il professionista abbia posto degli ostacoli non contrattuali, onerosi o sproporzionati, nel caso in
cui il consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto,
cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista, e) infine, se il professionista induce il
consumatore ad effettuare la scelta di natura commerciale in merito al proprio prodotto,
minacciandolo di promuovere un’ azione legale ove tale azione sia manifestatamente temeraria o
infondata.
Detto ciò, bisogna comprendere l’Autorità cui spetta il controllo e la supervisione in tale materia.

4) L’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
La competenza in tale ambito , così come specificato all’art. 27 , è affidata all’Autorità garante della
concorrenza e del mercato, la quale può agire d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione
che ne abbia interesse, inibendo la continuazione delle pratiche commerciali scorrette ed eliminando
gli effetti. L’Autorità garantisce il contraddittorio, ma in casi di particolare urgenza può disporre con
provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette, anche se in
ogni caso comunica l’apertura dell’istruttoria al professionista. L’AGCM può comminare delle
sanzioni amministrative pecuniarie in relazione alle diverse fattispecie che si connotano nel
procedimento. I ricorsi verso il provvedimento emanato dall’AGCM si svolgono dinanzi al TAR, in
tutti gli altri casi sarà competente il giudice ordinario.
A cura dell’Avv. Guerino Gazzella.
Ariano Irpino, lì 11.08.2022.