Orgoglio per l’intero territorio irpino e non solo. Esempio di forza e voglia di uscire dallo stallo creato dal Covid.
È Giambattista Assanti, regista eclanese, che certo non si è lasciato scoraggiare dai momenti difficili che abbiamo vissuto e stiamo vivendo.
E così è quasi tutto pronto, manca davvero pochissimo alla presentazione del film “La bambina che non sapeva odiare” nato da un'idea proprio di Giambattista Assanti, dell'Associazione La Memoria Viva e prodotto dalla Stemo Production.
Assanti è riuscito a trasformare in un film l’importantissima testimonianza di Lidia Maksymowicz oggi elegante signora ottantenne che vive a Cracovia, ma che nel 1942 ad Auschwitz, a soli 2 anni, fu prigioniera nel campo dove il dottor Mengele, meglio conosciuto come "l'angelo della morte", effettuava i suoi folli esperimenti sui bambini ebrei. La madre, costretta a partecipare ad una marcia della morte, promise e giurò alla bambina che un giorno sarebbe tornata a prenderla.
Il titolo del film nasce da una frase che Lidia ripete in ogni occasione: «Se dovessi vivere pensando ad odio e vendetta farei un danno a me stessa e alla mia anima, e sarei io quella malata: l'odio ucciderebbe anche me».
La pellicola uscirà nel gennaio 2021 a Roma e a Cracovia, ma la presentazione è prevista per sabato 4 luglio a Castellamonte, per iniziativa del Club Turati, presieduto dal senatore Eugenio Bozzello, e dell'associazione La Memoria Viva onlus di Castellamonte mentre giovedì 2 luglio all’Istituto Italiano di Cultura a Cracovia. All’incontro online del 4 luglio, saranno presenti il produttore Claudio Bucci, il regista Giambattista Assanti e l'attrice e Ambasciatrice de La Memoria Viva Daniela Fazzolari.
La Città Metropolitana di Torino ha concesso il suo patrocinio all’evento, in considerazione del grande valore della testimonianza che il regista ha trasformato in un vero e proprio film.
“Nel piccolo paese di Introd, in Val d'Aosta, che negli anni ‘80 e ‘90 Papa Giovanni Paolo II scelse più volte per le vacanze estive, Eleonora, una giornalista di un importante quotidiano nazionale, cerca di chiudere un pezzo giornalistico su Karol Wojtyla e sul suo profondo legame con le montagne, in occasione del centenario della nascita. Ad Introd la cronista viene in contatto con l’associazione culturale piemontese Memoria Viva che raccoglie nella sua banca dati decine di storie di sopravvissuti all'Olocausto. Incuriosita, Eleonora sofferma la sua attenzione sulla vicenda di Lidia Maksymowicz”.
Inizia così il film, la cui lavorazione è cominciata a marzo. Il progetto è quello di portare sul grande schermo la vera storia di Lidia Maksymowicz.
Il film racconta l’incontro di due donne molto diverse, attraverso l’intervista intensa e piena di commozione che Lidia farà ad Eleonora. Intervista in cui Lidia racconta gli aspetti più incredibili e profondi di quanto avvenne ad Auschwitz per mano di Joseph Mengele. Un racconto indubbiamente doloroso, ma soprattutto una grande storia di coraggio, di amore tra una figlia e una madre, che il destino farà ritrovare dopo venti anni di separazione, nel 1962.
La Storia
“Lidia Boczarowa venne deportata ad Auschwitz a soli 4 anni. Viveva con la madre ed i nonni in una zemlijanka nei boschi della Bielorussia. Durante l’autunno del 1943 i nazisti condussero molte retate nella regione di Vitebks contro i partigiani e, in una di queste, Lidia venne condotta con la famiglia nella prigione di Vitebks.
Nel dicembre del 1943 partirono in treno alla volta di Auschwitz e lì Lidia e la mamma vennero registrate e assegnate a due baracche diverse e così Lidia iniziò a vedere la madre sempre più di rado, sino al punto di non riconoscerla più.
Lidia dimentica il russo e parla solo una lingua del campo, misto tra tedesco, russo e polacco. Pochi giorni prima della liberazione la madre la raggiunge ed inizia ripeterle come un mantra: «Ricordati, tu ti chiami Ludmila Boczrowa, sei bielorussa. Non lo dimenticare!». La madre parte con le marce della morte.
Il giorno successivo alla liberazione una famiglia di Oświęcim entra nel campo., vede la bambina sola e decide di portarla a casa. Uscendo dal campo la nuova mamma dice a Lidia che la madre naturale è morta nel campo. La piccola quindi si convince della morte della madre naturale, ma a 16 anni un'amica di scuola convince Lidia a cercare la sua madre naturale. La ragazzina inizia così a scrivere decine di lettere a diverse istituzioni. Solo dopo tre anni riceve una lettera in tedesco, con la quale viene informata che la madre naturale è viva. Era stata deportata a Bergen Belsen e lì liberata dagli americani, ai quali chiese il permesso, nonostante le condizioni fisiche, di tornare ad Auschwitz per recuperare la bambina, ma le venne comunicato ad Auschwitz ormai non c’erano più bambini.
Per 20 anni la donna, tornata in Russia, cercò sua figlia senza trovarla. Solo nel 1962 la propaganda russa organizzò un incontro a Mosca dove per la prima volta Lidia rivide sua madre”.
Nel corso di un’intervista Giambattista Assanti ha spiegato che la speranza di tutti, dall’ultima comparsa all’attrice protagonista, dai produttori agli organizzatori e sceneggiatori, è che questo film possa lasciare il segno, soprattutto come monito per le nuove generazioni: quello di non odiare.