Chi non ricorda Lilli e il vagabondo attaccati all’ultimo filo di spaghetti withmeatballs fino a sfiorarsi teneramente con le labbra? Era già cucina italiana in salsa disneyana. Cartoon che precorrevai tempi dell’italiansoundingovvero di tutti quei nomi di alimenti che “suonano italiano”, ma non sono prodotti in Italia.Vestìti tricolore con immagini e parole, che evocano il bengodi della gastronomia mondiale, ma senza averne origine,odori e sapori.
Le cifre sono da capogiro. Un giro d’affari globale di 60 miliardi di euro, 21 in Europa, a fronte di 13 miliardi appannaggio dei prodotti con origine riconosciuta. C’è un distinguo da fare. L’italiansoundingnon è contraffazione criminale o frode. E’ più semplicemente imitazione spesso legale e disciplinabile solo con accordi internazionali. Come tra Ue e Usa con il Ttip (Transatlantictrade and investment partnership) o tra Ue e Canada, dovesi è decisa, per esempio, la legittima convivenza tra l’Asiago originario italiano e il “tipo Asiago” canadese. Non è il massimo, ma almeno i consumatori d’oltreoceano possono scegliere in maniera trasparente.
Per tornare, invece, al copia copiella globalizzato, ci troviamo, tanto per gradire, l’innominabile “pastashuta”, la contraddizione in termini del Pecorino cinese di mucca, il Chianti maturato al sole del Maryland, l’Asiago del Wiskonsin, il cacofonico “Cambozola” che fa il verso al Gorgonzola, il “Campali” cinese, la curiosità “Pom’Pin” ossia patate fritte dell’azienda belga Lutosa e, perché no, anche il wurstel Bologna.Con un finale da dizionario de noantri tipo “Aglio, oglio e peperoncino” o da commedia sentimentale come “Zuppa di matrimonio all’italiana”.
E se i fake fossero pochi, ecco il whine-kit che fornisce il necessario, tra sciroppi e polverine, per riprodurrecol fai da te -assicura la pubblicità- in sole quattro settimane i grandi vini del mondo, semmai a 1 euro a bottiglia. Tra i frutti partoriti dal famigerato kit il “Verdicchio dei castelli canadesi”.
Tutto vero. Ma è solo l’antipasto dell’affaire che riguarda l’alimentazione e l’Italia in tempi di Expo. Nella hit parade dei prodotti più copiati, al primo posto ci troviamo il parmigiano reggiano (parmesan, parmesao o regianito, se si è americani, brasiliani o argentini), seguito dai prosciutti Parma e San Daniele, poi il grana padano, la mozzarella di bufala e l’Asiago.Secondo una ricerca dell’IPRdesk di New York (Intellectualpropertyrights) tre prodotti su quattro, che si vendono negli Usa, non sono autentici. Tra questi ci sono pure sughi, conserve di pomodoro, pasta, olio, aceto e altri salumi e formaggi. E, mentre l’italiansoundingfa strage del made in Italy, Veuve Clicquot (oltre 17 milioni di bottiglie), colosso del lusso Lvmh, avverte una piccola azienda irpina (poco più di 3.000 bottiglie) che il colore della sua etichetta si avvicina “pericolosamente” al giallo (coperto da brevetto) della regina francese delle bollicine. Quisquilie di fronte allotsumani continuato del made in Italy che si fabbrica altrove e si etichetta a immagine e somiglianza dell’originale.
Il cibo italiano fa gola, ma è come una chimera. I più lo conoscono attraverso gli avatar. Nomi e sostanza storpiati, ma è pur sempre un’economia legale, fondata dai nostalgici padri dell’emigrazione italiana e poi assorbita dall’industria alimentare. Wisconsin Cheeseinc., per esempio, produce circa 600 varietà di formaggi americani e internazionali, tra cui un nutrito drappello di imitazioni italiane. In testa Asiago e Parmigiano, in Europa protetti dalle Dop, negli Usa fuori dallacertificationmark, risposta americana alle indicazioni geografiche della Ue.
A seguire,altri colossi della gastronomia nordamericana con una miriade di prodotti craccati, nomi da C’era una volta l’America e ricette italian family style: tutta da scoprire la “fresh mozzarella filled with cream (burrata, ndr), rare italiandelicacy”, l’ “american grana”, il “pompeianoil”, il classico “Napoli tomato &basil”, l’“italian bacon” e lo “spicyitalian salame”.
Troppa America? Si torna in Europa. Avvolto nel tricolore il formaggio olandese Parrano viene pubblicizzato così: “Per rendere il tuo pasto più italiano scegli olandese. Parrano, il formaggio dell’Olanda che si crede italiano”. Come dire ghiaccio bollente.
Articolo pubblicato sul numero Aprile/Maggio 2015 del periodico XD Magazine.