IL DOVERE DI BUONA FEDE
La buona fede nei rapporti contrattuali è considerata, sin dai tempi antichi, un vero e proprio
“dovere giuridico”, rappresentando uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni,
affermando, quindi, che la sua violazione costituisce una possibile fonte di responsabilità.
Inizialmente la buona fede non era una nozione valorizzata: si pensava che le fonti di integrazione
del contratto fossero solo quelle enunciate dall’art. 1374 cc, (legge, usi ed equità), mentre l’art.
1375 c.c. rilevasse esclusivamente nella fase dell’esecuzione la quale doveva avvenire secondo
buona fede.
Successivamente, c’è stata una lunga evoluzione del concetto di buona fede, valorizzandone
l’importanza fino a giungere alle più recenti pronunce giurisprudenziale. In un primo momento,
la buona fede venne intesa come mero strumento di integrazione suppletiva del
contratto sennonché questo modo di intenderla si svelò certamente riduttivo.
Il codice civile dedica all’integrazione del contratto il solo articolo 1374 c.c., il quale non da una
definizione, ma si limita ad indicarne la funzione. Secondo l’art. 1374 c.c. il contratto obbliga le
parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano
secondo la legge o in mancanza secondo gli usi e l’equità.
La violazione della regola della buona fede in senso oggettivo può comportare conseguenze diverse
a seconda del momento in cui viene posta in essere, e ciò in quanto lo stesso dovere delle parti, di
agire l’una in modo da preservare gli interessi dell’altra, si atteggia differentemente a seconda della
fase in cui si verifica.
Per valutare la gravità dell’inadempimento di un contratto, secondo la Cassazione n. 19579 del
09/07/2021, le violazioni delle obbligazioni che incidono sulle obbligazioni di carattere
accessorio, non sono idonee, in sé sole, a fondare un giudizio di gravità dell’inadempimento.
Dunque, la Cassazione con tale ordinanza è intervenuta sul mancato rispetto del principio di buona
fede, sottolineando che la buona fede si sostanzia nella reciproca lealtà di condotta, fondamentale
canone di correttezza al quale tutte le parti di un rapporto contrattuale devono necessariamente
ispirarsi ed attenersi.
Le parti contrattuali devono comportarsi secondo buona fede in ogni fase del rapporto contrattuale,
sia durante le trattative, sia in pendenza di una condizione sospensiva risolutiva ed infine
nell’esecuzione del contratto.
La buona fede può essere definita come uno strumento che integra, limite e corregge il contenuto
normativo dell’obbligazione.
Questo principio, data la sua astrattezza, consente molteplici interpretazioni in merito ad ogni
singolo caso di specie, e pertanto, sono stati tanti i relativi giudizi portati nelle aule giudiziarie.
La buona fede potrebbe essere definita anche come un vero e proprio limite all’autonomia ed alla
libertà contrattuale che permea il nostro sistema. La buona fede riguarda tanto l’interpretazione del
contratto ex art. 1366 c.c. quanto l’esecuzione dello stesso ex art. 1375 c.c.
I giudici della Corte di Cassazione sottolineano come il ruolo delle buona fede in senso oggettivo
concorra a creare la regola iuris del caso concreto in forza del valore cogente che le norme le
assegnano. La ratio di questo principio è quello di mantenere un equilibrio ed una proporzione nel
rapporto giuridico istaurato.
A cura dell’Avv. Guerino Gazzella
24.02.2022