IL DIRITTO ALL’OBLIO
Il profuso utilizzo dello strumento informatico richiede una tutela rafforzata per i dati personali di
ciascun individuo. Ogni individuo gode del diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il
diritto di ricevere informazioni e idee attraverso ogni mezzo. Libertà che, con tali strumenti
informatici consentono a chiunque, non solo ai giornali, di poter rendere pubbliche informazioni,
immagini, dati personali degli individui. Si pensi alle migliaia di foto e video privati, anche a
sfondo sessuale, diffusi, scambiati e pubblicati quotidianamente tramite WhatsApp, Facebook e
YouTube, pubblicazioni che hanno portato, anche, in alcuni tragici casi, al suicidio di chi ha
preteso, senza successo, l’oblio.
La nascita del diritto all’oblio coincide con la nascita del diritto alla privacy e alla riservatezza e
può essere praticato attraverso la richiesta di rimozione delle informazioni personali. È equiparabile
al diritto alla cancellazione, anche se, in concreto, sono diritti differenti fra loro, in quanto la pretesa
di cancellazione delle nostre informazioni personali è una conseguenza dell’esercizio del diritto
all’oblio; si può pretendere la cancellazione di dati personali anche per presupposti diversi.
Inizialmente, il diritto all’oblio, collocato nella disciplina giuridica della protezione dei dati
personali, è stato oggetto della Direttiva UE n. 46/95. L’art. 12 (lett. B) della Direttiva prevedeva
indirettamente il diritto all’oblio e alla cancellazione, o rimozione dei dati, il cui trattamento non era
conforme alle disposizioni della Direttiva stessa e, in particolare, a causa del carattere incompleto o
inesatto dei dati.
Successivamente, l’Autorità garante italiana, nel 2004 e poi nel 2008, si è preoccupata di affrontare
la questione del diritto all’oblio, in maniera particolare dedicandosi alla pubblicazione online degli
archivi storici dei giornali, prevedendo che sia legittima la messa a disposizione per la
consultazione dei dati personali online attraverso il sito dell’editore, specificando che la pagina web
che contiene i dati personali dev’essere sottratta all’indicizzazione dei motori di ricerca esterni.
Nel 2014 la Corte di giustizia europea, affrontando il caso Google Spain contro l’autorità spagnola,
ha affermato che il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento dei dati
personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi; così, se a seguito di una ricerca effettuata
a partire dal nome di una persona l’elenco di risultati mostra un link verso una pagina web che
contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi direttamente al gestore
oppure, qualora il gestore non dia seguito alla sua domanda, rivolgersi alle autorità competenti per
ottenere, in presenza di certe condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco dei risultati.
Con il GDPR n. 679/2016 si ha finalmente una norma specifica per il diritto all’oblio, sancito
all’art. 17, il quale stabilisce una serie di criteri generali e di eccezioni, che non risultano, però di
facile comprensione.
Infatti, l’art. 17 del GDPR prevede una serie di motivi in presenza dei quali l’interessato ha il diritto
di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza
ingiustificato ritardo, come ad esempio qualora i dati personali non siano più necessari rispetto alle
finalità per le quali sono stati raccolti o trattati, oppure, qualora abbia revocato il consenso al
trattamento o i dati siano stati trattati illecitamente.
Il diritto alla cancellazione dei dati personali, assorbito dall’art. 17 del DGPR può essere esperito
qualora siano a rischio il diritto alla libertà di espressione o di informazione, oppure, ai fini di
archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica.
Ma la domanda che sorge spontanea è: “quando il trattamento di tali dati personali risulta in
concreto necessario?”
Dovrebbe essere l’Autorità garante privacy o Giudice, chiamata a decidere se in una certa vicenda
sottoposta al suo esame la persona possa legittimamente pretendere che una notizia che lo riguarda,
pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di
nuova divulgazione.
A cura dell’Avv. Guerino Gazzella
Ariano Irpino 16.09.2022