I MEZZI DI IMPUGNAZIONE E CASI IN CUI LE DECISIONI NON SONO IMPUGNABILI
L’esigenza di giustizia e la necessità di poter adire un altro giudice, qualora la sentenza sia
considerata non giusta o erronea dalla parte soccombente, è garantita mediate il rimedio
giuridico delle impugnazioni.
Nonostante la Costituzione indichi unicamente un riesame di legittimità delle sentenze
(art.111), il sistema delle impugnazioni è articolato verticalmente in tre gradi di giurisdizione,
due di merito ed uno di legittimità, e prevede inoltre il mezzo di impugnazione straordinario
della revisione.
Nel nostro ordinamento giuridico vige la regola del doppio di giudizio, che consente di poter
impugnare la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado davanti ad un altro giudice al
fine di provocare un riesame ed ottenere eventualmente una riforma o una conferma della
stessa statuizione. I mezzi di impugnazione previsti dal nostro codice di rito all’art. 324 cpc
al capo I sono i seguenti:
1. Regolamento di competenza, il quale può essere necessario o facoltativo;
2. Appello;
3. Ricorso in cassazione;
4. Revocazione;
5. Opposizione di terzo.
In primis occorre analizzare l’importante differenza fra i mezzi di impugnazione ordinari e
straordinari, in quanto il mezzo di impugnazione ordinario, ovvero il regolamento di
competenza, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi dei quali ai
numeri 4 e 5 dell’art. 395 cpc, consente di impugnare la sentenza non passata in giudicato,
ovvero la sentenza che ancora non sia incontrovertibile, mentre i mezzi di impugnazione
straordinari sono quelli che possono essere esperiti anche quando la sentenza sia passata in
giudicato.
Il mezzo di impugnazione è emblematica rappresentazione del diritto di giustizia, ma ci sono
dei casi, eccezionali, in cui le statuizioni non possono essere impugnate, o possono essere
impugnate solo per motivi tassativamente specificati dalla legge.
Il nostro codice di procedura civile all’art. 339 cpc stabilisce una limitazione, ovvero che
possono essere impugnate con appello le sentenze pronunciate in primo grado purchè
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l’appello non sia escluso dalla legge o dall’accordo delle parti a norma dell’art. 360 cpc
secondo comma.
Il mezzo di impugnazione dell’appello è escluso quando le parti decidono concordemente di
proporre direttamente ricorso in cassazione, ovvero scelgono di far ricorso al c.d. ricorso per
saltum presso la Suprema Corte di Cassazione, rinunciando dunque, a tutti i possibili motivi
di impugnazione di cui all’art. 360 cpc, ad eccezione della violazione o falsa applicazione
delle norme di diritto.
Al secondo comma dell’art. 339 cpc è stabilito che la sentenza che il giudice ha pronunciato
secondo equità a norma dell’art.114 cpc è inappellabile.
Occorre specificare quando il Giudice pronuncia secondo equità: il Giudice pronuncia
secondo equità quando ritiene di non dover applicare la norma di diritto sostanziale, per cui
ricorre al giudizio di equità, il quale si differenzia a seconda che si parli di equità integrativa,
che si ha quando il legislatore rinuncia a predisporre la disciplina legale di particolari aspetti
di una fattispecie e preferisce affidare al giudice il compito di intervenire caso per caso (es.,
la liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.); e l'altra sostitutiva, che comporta
l'attribuzione al giudice del potere di sostituire integralmente l'applicazione della norma con
una propria decisione equitativa ( artt. 113 e 114 c.p.c.).
Occorre pero, effettuare una precisione in merito all’ambito applicativo al giudizio di equità,
in quanto per le controversie innanzi al giudice di pace di esiguo valore economico ( non
superiore a 1100 euro) e sempre che non si tratti di controversie seriali (art. 113 cpc), le
statuizioni in tal caso sono impugnabili per i motivi espressamente indicati dalla legge,
ossia per violazione delle norme sul procedimento, per circolazioni di norme costituzionali
o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia (art. 339 cpc).
L’applicazione del principio “iuria novit curia”, di cui all’art. 113 cpc comma 1, fa salva la
possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai
rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ponendo a fondamento della
sua decisione anche principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti,
fermo restando, però, il divieto per il giudice di immutare gli elementi materiali che
inverano il fatto costitutivo della pretesa, pronunciandosi su questioni non formanti oggetto
del giudizio e non rilevabili d’ufficio.
La previsione di un appello limitato avverso le sentenze di equità del giudice di pace è stata
“caldeggiata” all’epoca della stessa Corte di Cassazione. Tale scelta ha comportato delle
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interpretazioni confliggenti nel corso degli anni, proprio in relazione all’avverbio
“esclusivamente, riferibile secondo alcuni ai motivi di impugnazione e, secondo altri, al
mezzo di impugnazione.
Nel nostro processo penale il nostro legislatore ha stabilito varie limitazioni all’impugnazione
delle sentenze.
In primis, occorre specificare che all’art. 591 c.p.p., l’impugnazione è inammissibile quando:
1. Quando è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse;
2. Quando il provvedimento non è impugnabile;
3. Quando non sono osservate le disposizioni degli articoli 581, 582, 585 e 586;
4. Quando vi è rinuncia all’impugnazione.
L’art. 593 c.p.p. prevede un limite all’impugnazione in quanto al primo comma stabilisce che:
“salvo quanto previsto dall’art. 443, comma 3, 448 comma 2, 579 e 680, l’imputato può
appellare contro le sentenze di condanna mentre il pubblico ministero può appellare contro le
medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di
una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da
quella ordinaria del reato”.
Il secondo comma stabilisce che: “il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di
proscioglimento. L’imputato può appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse al
termine del dibattimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non
sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso”.
Il terzo coma dell’art. 593 stabilisce un altro limite all’impugnazione, ovvero avverso le
sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda e le sentenze di
proscioglimento relativa a contravvenzioni punita con la sola pena dell’ammenda o con pene
alternative.
Il legislatore ha disciplinato il concetto di irrevocabilità delle sentenze e dei decreti penali
all’art. 648 c.p.p.
Dunque, quando non sono previsti mezzi di impugnazione, ad eccezione della revisione, la
sentenza diviene irrevocabile; mentre se l’impugnazione è ammessa, la sentenza è
irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare
l’ordinanza che la dichiara inammissibile. Nel caso in cui ci sia stato ricorso per Cassazione,
la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara
inammissibile o rigetta il ricorso; mentre il decreto penale di condanna diviene irrevocabile
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quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare
l’ordinanza che lo dichiara inammissibile.
È opportuno riservare una particolare attenzione ad un nuovo motivo di impugnazione
introdotto in attuazione dell’art.1, comma 10, della legge 26 novembre 2021, n. 206.
Con il d.lgs. 10 ottobre 2022 n.149, all’art.362 c.p.c. èstato aggiunto un ulteriore comma in
forza del quale le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato possono essere impugnate
per revocazione, ai sensi del nuovo art.391 quater c.p.c., quando il loro contenuto è stato
dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno
dei suoi Protocolli.
Dunque, la norma prevede due condizioni (che devono ricorrere) quali requisiti di
ammissibilità del nuovo mezzo di impugnazione:
1. La decisione è revocabile se ha pregiudicato un “diritto di stato della persona”;
2. L’equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sendi dell’art. 41
della Convenzione non deve essere idonea a compensare le conseguenze delle
violazioni.
La ratio del legislatore è quella di assicurare una effettiva restitutio in integrum in caso di
violazione dei diritti garantiti dalla Cedu. La Corte aveva ritenuto di non intervenire
direttamente in senso additivo sugli artt. 395 e 396 c.p.c., non essendovi, nelle materie diverse
da quella penale, un obbligo generale di riapertura del processo su richiesta dei soggetti che
hanno adito vittoriosamente la Corte EDU.
Il legislatore ha accolto tale sollecitazione, stabilendo l’ambito della nuova ipotesi di
revocazione entro limiti notevoli dietro ai quali traspaiono la volontà di salvaguardare
l’esigenza di certezza data al giudicato, contrapposta alle esigenze di ristabilimento della
giustizia sostanziale, e l’attenzione ad evitare un significativo aumento del numero processi.
Dunque, è stato previsto che sono revocabili solo le decisioni che abbiano pregiudicato un
“diritto di stato della persona”.
Il termine “stato” esprime la “condizione personale del soggetto in quanto inserito in una
societas più o meno estesa e costituisce pertanto l’indice di situazioni e degli interessi che a
tale condizione si riallacciano così fungendo al tempo tesso da presupposto per il loro acquisto
e da criterio riassuntivo di essi”.
Inoltre, l’espressione “diritti di stato della persona “a stretto rigore vuota da mancanza
dell’indicazione dello stato di riferimento, di certo non riferibile ai diritti di stato di cittadino
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giacché il contenzioso afferisce alla giurisdizione amministrativa e le sentenze amministrative
non sono revocabili ai sensi del nuovo art. 391 quater, pare in sostanza riferibile ai diritti- o
meglio situazioni giuridiche connessi (e) allo stato di famiglia.
A cura dell’Avv. Guerino Gazzella.
Ariano Irpino, lì 22.10.2022