Guerra, brigantaggio ed emigrazione nel museo etnografico di Aquilonia

di , Sabato, 10 Gennaio 2015

Dal '97 è punto di riferimento per la storia d'Irpinia.
                     
Il museo Etnografico“Beniamino Tartaglia” di Aquilonia è nato nel 1997 per la passione e l’impegno dell’ormai famoso professore Beniamino Tartaglia, purtroppo prematuramente scomparso nell’estate del 2006, ma con la collaborazione di un comitato rappresentativo ditutta la comunità aquilonese e la partecipazione degli Enti locali. Molti dei residenti, o anche degli emigrati, hanno donato oggetti, fatto offerte in denaro o hanno prestato volontariamente la loro opera, ristrutturando un ex asilo nido messo a disposizione dall’Amministrazione comunale.

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Si è riusciti a raccogliere nel tempo e con grande pazienza, circa 13.000 pezzi, utilizzati tutti (ed è questa la peculiarità ed unicità del museo) per ricostruire oltre 130 reali ambienti abitativi e di lavoro, con rigore filologico, che permettono di percorrere un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo.L’esposizione si snoda su due piani, su circa 1.500 metri quadri, in sale, spazi e stands, ed è  suddivisa in quindici sezioni tematiche. La mole di oggetti è veramente imponente e permette di avere una panoramica completa delle attività agricole, documentate e spiegate nello svolgersi dei cicli stagionali, quali la raccolta del grano e tutto quel che ne consegue; la raccolta dell’uva e la vendemmia; la raccolta delle olive e la successiva molitura. Si può vedere un antico frantoio in pietra, un torchio per l’uva con la vite centrale in legno, gli attrezzi e gli utensili vari adoperati per tutte queste attività.

Poi ci sono i mestieri, alcuni dei quali non sono presenti nemmeno nel ricordo di tantissimi di noi, o certamente dei più giovani, come il cestaro o il “concia piatti”. Il cestaro, è facile comprenderlo, era colui che intrecciava i cesti in vimini, ma il “concia piatti” è davvero qualcosa che esula persino dalla nostra immaginazione. Si trattava di colui il quale girava per i paesi per riparare i piatti di ceramica, rotti o lesionati. Era talmente forte la necessità di recuperare, che persino i piatti rotti venivano ripristinati. Il paziente artigiano era fornito di un trapano a mano con cui praticava due fori attraverso i quali faceva passare del filo di ferro, stringendo così le parti da sistemare. L’aglio faceva il resto. Essendo un forte collante, veniva strofinato sulla fessura evitando così che i liquidi potessero colare attraverso la riparazione. Ma, passando a lavori più conosciuti, troviamo anche il barbiere, l’arrotino, il calzolaio con cuoio e pece, il fabbro e le sue incudini, il sarto con metro, forbici e stoffe, il barbiere, l’orologiaio, solo per citarne alcuni, ed il tutto corredato da strumenti originali.Per le professioni, c’è l’agrimensore, il notaio, l’avvocato, c’è il medico con i suoi strumenti, il farmacista con i suoi attrezzi e i suoi rimedi.C’è la taverna con le botti, i barili, le damigiane e i fiaschi rivestiti di paglia. La storia della donna è rappresentata da oggetti di vita quotidiana, quali la madia per preparare il pane, o stoffe ricamate per i corredi; dalle culle per bambini, alla semplicità dei giocattoli realizzati praticamente in casa.

Un’altra sezione è dedicata alla guerra, al brigantaggio e all’emigrazione, con moltissime foto, oggetti militari, divise, proiettili. Poi, ancora, testimonianze di tipo demoantropologico: un salone è dedicato alla religiosità popolare, con foto e oggetti d’epoca, divise di antiche confraternite, messali, calici e paramenti sacri del ‘600 e ‘700.  Nella sezione dedicata ai culti magici, ci sono formule magiche, esorcismi, fatture, controfatture e scongiuri in voga nell’antichità.

Nella parte dedicata all’archeologia, troviamo fossili, molto materiale fittile, corredi funerari sanniti, romani e longobardi, cinturoni, monili, armi e monete, nonché reperti lapidei che vanno dal medioevo all’Ottocento.Recentemente ritrovati in un nascondiglio ed esposti, alcuni gioielli dell’800 rubati ad esponenti di famiglie abbienti, uccisi nel corso della “rivolta di Carbonara”, nell’ottobre del 1860. Non manca un archivio, una biblioteca specialistica ad indirizzo  demoetnoantropologico, una sala polifunzionale, completamente attrezzata per proiezioni, convegni e manifestazioni, una mediateca e una raccolta di tesi di laurea dedicate al museo stesso.

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Attente e cortesi guide si offrono per accompagnare i visitatori, e per chi voglia approfondire il territorio vi è anche la possibilità di compiere un’ulteriore visita; quella nel vicino “Parco archeologico di Carbonara”, ovvero il vecchio paese così chiamato e distrutto dal sisma del 23 luglio 1930. E ancora, visitare un altro Museo, detto “delle città itineranti” dove, con documenti, foto, filmati d’epoca dell’Istituto Luce, video e pannelli esplicativi, sono documentate le vicissitudini di quei paesi in Italia che, come Aquilonia, a causa dei terremoti, hanno dovuto cambiare sito ed essere ricostruiti ex novo. Per fortuna, molti di quei siti abbandonati, ora sono stati riscoperti e rivalutati, trovando una nuova funzione di memoria storica, didattica e perché no, turistica.  Sempre nel parco, il restaurando palazzo Vitale dovrà divenire sede del “Centro studi delle culture locali del Mediterraneo”.

Il Museo è aperto da aprile a settembre, tutti i giorni, dalle ore 10,00 alle 13,00 e dalle 16,30 alle 19,30, e da ottobre a marzo, tutti i giorni, dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 19,00; chiuso il lunedì.

Aquilonia, piccolo paese dell’Alta Irpinia, dove il fiume Ofanto segna il confine tra Campania, Basilicata e Puglia, antica cittadina osca e poi importante centro del Sannio, merita davvero una visita per i suoi incantevoli panorami sul Tavoliere delle Puglie, per la sua tranquillità, la cucina con ottimi prodotti tipici, e ovviamente per il museo, unico nel suo genere, tra i più completi ed articolati, forse d’Italia, e che merita di certo il plauso e l’ammirazione di tutti noi.

Articolo pubblicato sul numero Ottobre/Novembre 2014 del periodico XD Magazine.


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