Ghemon, l'artista raffinato. Battito irpino e anima cosmopolita

di , Sabato, 29 Novembre 2014

Cultura e ricerca, il segreto del suo talento

Eh già, definirlo solo un rapper sarebbe troppo riduttivo. Ghemon, al secolo Gianluca Picariello, nato ad Avellino nel 1982, con il suo ultimo disco dà un sterzata netta al suo percorso artistico e musicale, inserendosi a pieno titolo nella scena cantautorale italiana. In realtà per chi ascolta l’hip hop il nome di Ghemon risulta noto già da un bel po' di tempo; il musicista irpino vanta tante collaborazioni importanti e ha all’attivo vari album, grazie ai quali si è fatto apprezzare per le sue doti tecniche e soprattutto per la sua innegabile abilità nel comporre versi.

Un cammino ponderato, riflessivo, per studiare, per maturare. E una parola d’ordine: talento.

Un talento indiscutibile quello di Ghemon, il cui valore artistico viene riconosciuto giorno dopo giorno. Ha il merito di aver trovato una formula perfetta, di aver saputo coniugare spirito hip hop, melodie interessanti e raffinatezza nello scrivere. Il cantautore irpino arriva dritto al cuore, colpisce e parla all’anima della gente, affascina per la scrittura dei testi, per le rime curate.

Non c’è da stupirsi d’altronde, se hai delle doti da fuoriclasse come le sue. Ghemon è un artista colto e raffinato, ha uno stile sofisticato e personale che supera il rap. I suoi testi sono intensi ed eleganti, si distaccano dai preconcetti, dagli slogan e dai contenuti tipici del rap a cui siamo abituati. Il suo ultimo album “ORCHIdee” (Macro Beats production) anticipato dal singolo e videoclip “Adesso sono qui”, balzato in poche settimane in vetta alle classifiche, racconta la vita quotidiana con tutte le sue sfaccettature; racconta la modernità della sua generazione. Il forte impatto dei testi, la sua disarmante autenticità e unicità sono capaci di far innamorare sin dal primo ascolto.

Un disco curato sin dal titolo, nel quale l’autore alterna il canto al rap, mescola stili e sonorità con una maestria unica, ed è accompagnato da grandi musicisti. Così Gianluca, con questo ultimo lavoro, riesce ad accontentare pubblico e critica, vecchie e nuove generazioni, e dimostra di essere un artista eclettico e completo. Aspettando di vederlo dal vivo ad Avellino, il 23 agosto, eccolo a raccontarci la sua storia e il suo nuovo disco.

ghemon


Gianluca, parlaci di te…della tua formazione, degli esordi. Quando hai cominciato?

Ho iniziato nel periodo della terza media, intorno all’inizio delle scuole superiori. Dalle serate autoprodotte alle serate con gli amici, sono quelle cose che al momento consideri un gioco, soltanto il gioco di un ragazzino. Diciamo che non ci credevo nemmeno io all’inizio, come non ci credevano le persone che avevo intorno. Poi sono stato caparbio…ed eccoci qua!

Quando hai capito che questa passione poteva diventare un lavoro?

Beh, qualche anno dopo ma in realtà non esiste un vero e proprio momento di demarcazione.
Se prendi qualcosa seriamente, in questo caso una passione, anche se la pratichi a livello amatoriale per te è già un lavoro. Io l’ho sempre trattata come una cosa serissima, sicuramente non lo era in termini di guadagno ma per me cantare era un lavoro a tutti gli effetti.

Per realizzare questo sogno però, come tanti ragazzi, hai dovuto lasciare la tua città, Avellino. Cosa ti manca di più dell’Irpinia?

La semplicità delle cose di tutti i giorni, la semplicità dell’ingenuità che avevo quando vivevo ancora lì. E anche il fatto che si condivideva un sogno con tanti amici; per andare avanti però, volente o nolente, si lasciano delle persone, questa è la vita. E non ci si può far niente.
Mi manca sicuramente il senso del gruppo, quando eravamo in 20/30 persone, quando ci ritrovavamo insieme la sera, ci riunivamo ed eravamo appassionati della stessa musica.

E invece ad Avellino, e all’Irpinia in generale, secondo te cosa manca?

E’ difficile dare un parere, si rischia sempre di essere critici ma la critica può anche essere costruttiva. Io penso che a questa terra manchi un po’ credere in noi stessi, soprattutto rispetto alle popolazioni locali del nord che massimizzano quel poco che hanno e lo fanno diventare una grossa fonte di vanto. Alla fine l’Irpinia di fonti di vanto ne ha tante però spesso è più propensa ad accogliere quello che viene da fuori, a considerarlo migliore, quasi una salvezza, e non a valorizzare quello che ha in casa. Bisognerebbe credere di più in noi stessi, in quello che facciamo, nella nostra terra, nei nostri valori.

Tornando a te, questo lavoro ti ha cambiato? O è possibile non farsi cambiare dal successo?

Diciamo che questo lavoro tende un po’ a cambiarti, a smussare qualche aspetto di te, alcuni lati migliorano altri peggiorano. Beh, spero però non siano troppi i lati che sono peggiorati! (ride, n.d.r.)
Queste cose ti cambiano ma io le affronto da vero irpino, sono testardo, non sempre aperto,  e conservo ancora un po’ di diffidenza verso gli altri; così riesco sempre a crearmi un piccolo scudo, nel bene e nel male, e riesco ad affrontare sia i complimenti sia le critiche, le cose più dure.
E’ normale che non si viva più la vita di tutti i giorni, che le abitudini vengano un po’ scombussolate; poi però ci sono le altre parti di vita normale, come andare al supermercato. E io vado anche al supermercato, sai! La differenza è che lì posso incontrare qualcuno che mi ha visto in televisione, mi riconosce e me lo dice…

Questa però è la parte più bella della celebrità…

Si, assolutamente. Fa piacere, anzi fa molto piacere.

Passiamo all’ultimo disco, “Orchidee”. E’ balzato subito nella top 30 delle radio e nella top 10 della “50 Songs” di Radio Deejay. Sembrerebbe proprio un bel risultato, in così poco tempo poi…te lo aspettavi?

Se ti dicessi che me lo aspettavo sarei bugiardo ma lo sarei lo stesso se dicessi che non me lo aspettavo. Facciamo in percentuale 50 e 50? Nel senso che in realtà ero consapevole del lavoro fatto in tutti questi tanti anni, del percorso che era stato costruito e sapevo che adesso c’erano i presupposti. Ci speravo, ovviamente, ma in fondo sapevo che avevamo lavorato bene, eravamo arrivati al dunque. Insomma, i numeri che sono arrivati sono una felice sorpresa ma non del tutto inaspettata, perché un po’ io ci credevo.

In questo album non c’è più solo rap ma canti e sei accompagnato da una vera band. Tanti cambiamenti importanti..
Un cambiamento felice. Un’evoluzione. Un’apertura. Resto comunque anche un rapper, per quello che mi riguarda, ma sono anche altre cose. I miei artisti preferiti di solito sono persone eclettiche capaci di fare più di una cosa, di cantare, di fare gli attori, anche di presentare. Mi piace quell’idea di musica, mi interessa proprio quello. Mi piace l’idea di poter fare il rapper ma anche di poter suonare uno strumento, e il disco va verso questo genere di evoluzione. Vuole mostrare che studio per mettere un’idea in atto in più modi possibili.

Cosa possiamo aspettarci dai concerti che porterai in giro, dato che ci sarà una band? Saranno live diversi?

La cosa piacevole che mi hanno detto in questo ultimo periodo, e che spero invogli le persone a venire, è che il disco è bello ma si assapora molto meglio dal vivo. Perché è comunque un disco creato per essere suonato dal vivo con una band, è fatto per essere suonato live ed è comunque una cosa un po’ inedita: una band che mischia il rap al soul, alla musica italiana. E’ un calderone che credo possa incuriosire le persone. Credo sia una cosa molto originale e spero saranno in tanti a venire a vedere i concerti.

Sarai anche ad Avellino quest’estate, giusto?

Si, sarò ad Avellino il 23 agosto al Campo CONI per la manifestazione “Mane & Mane”, a cui ho preso parte anche due anni fa.

Ora che l’album è terminato e il tour è partito hai già qualche altro progetto nella testa?

Per adesso soltanto cercare di lavorare a questo progetto, nel senso che quando fai una cosa per così tanto tempo, quando ci lavori per anni, accade proprio come in un parto: dopo la lunga gestazione il bambino deve crescere, deve essere cibato, deve uscire tra la gente, interagire con il pubblico. E’ ancora presto quindi per pensare ad altro, anche se nel cassetto ci sono tanti progetti…

Nel corso di tutti questi anni di musica hai incontrato e collaborato con tanti artisti. Quali tra questi ti ha più colpito, sia sotto il profilo umano che professionale?

E’ difficile selezionarne qualcuno, scegliere. Tutte le persone che hanno collaborato a questo disco, tutti i musicisti che hanno partecipato sono grandi nomi della musica italiana e tutti, ognuno a modo suo, mi hanno un po’ stupito. Da Rodrigo D’Eramo degli Afterhours a Gabrielli dei Calibro 35 fino a Gabriele Lazzarotti, il bassista di Niccolo Fabi e Daniele Silvestri. Ognuno in un modo o nell’altro si è guadagnato sul campo la sua fama, anche chi è meno conosciuto perché non è il cantante del gruppo ma un musicista. Devo dire che queste persone mi hanno tutte impressionato! In verità mi sono anche reso conto che a un certo livello si arriva soltanto se si è estremamente preparati e loro hanno arricchito tutto il lavoro fatto.


Articolo pubblicato sul numero Agosto/Settembre 2014 del periodico XD Magazine.


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