«Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore di tutti [...] La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa, perché le circostanze sono diverse».
Le parole pronunciate circa 130 anni fa da Émile Durkheim, padre della sociologia, ci invitano, ancora oggi, ad una riflessione: la storia ci mostra chiaramente e continuamente la mutevole essenza della famiglia sia nella forma sia nel contenuto. Ciò nonostante, però, per alcuni l'immagine di essa continua ad essere associata esclusivamente all'idea di un uomo e di una donna sposati, eterosessuali e fertili.
Parrebbe, dunque, che tutto ciò che vive ed esiste al di fuori di questo "modello ideale" debba essere, in una qualche misura, delegittimato e/o invalidato. È il caso delle madri lesbiche e dei padri gay, insomma delle cosiddette famiglie omogenitoriali.
Ma chi è il vero genitore? E cos'è una "famiglia"? Se il vero genitore è colui che cresce i propri figli donando loro cura e protezione, e se la "famiglia" è il luogo in cui si sperimentano i legami, la connessione emotiva, la sicurezza, la vicinanza, il sostegno, il rispetto e l'amore, perché continuare ad inneggiare ai concetti di "normalità" e "natura", ignorando, peraltro, quanto essi siano frutto del retaggio culturale di una piccola o grande comunità che sia?
Le preoccupazioni inerenti alla crescita dei bambini che vivono all'interno delle famiglie omogenitoriali, riguardano l'ipotesi che essi possano riscontrare maggiori difficoltà rispetto ai figli delle coppie eterosessuali, nello sviluppo dell'identità di genere e nella definizione dell'orientamento sessuale, nonché nello sviluppo personale, con maggiore vulnerabilità psichica e disturbi dell'adattamento e nelle relazioni sociali.
Ebbene, partiamo da un dato: sono trascorsi circa 40 anni dai primi studi sulle famiglie omogenitoriali e, da allora sino ai giorni nostri, passando in rassegna tutte le pubblicazioni scientificamente accreditate al mondo, la comunità scientifica internazionale ha raggiunto l’unanimità sul principio che non sussistano differenze significative tra figli di genitori omosessuali e figli di genitori eterosessuali e che la loro identità sessuale non sia condizionata dall’orientamento genitoriale. Anche gli studi effettuati per valutare il loro benessere psicologico hanno rimarcato quanto non vi siano significative differenze rispetto alle famiglie con genitori eterosessuali e che l’orientamento non influenza le capacità genitoriali.
Dunque, adulti coscienziosi e capaci di fornire cure e amore, che siano uomini e donne, eterosessuali o omosessuali, possono, in egual misura, essere ottimi genitori.
Esiste però, di certo, un altro dato non trascurabile: se ci sono condizioni di “svantaggio” nel crescere all’interno di una famiglia omogenitoriale, queste sono riconducibili sostanzialmente al pregiudizio e allo stigma sociale, ovvero all’omofobia a cui queste famiglie possono andare incontro. Infatti, sebbene gli studi ci forniscano una fotografia chiara dell'omogenitorialità, persistono atteggiamenti discriminatori nei confronti dei genitori omosessuali. Discriminazioni che affondano le radici in modelli culturali, credenze e convenzioni sociali: pregiudizi che influenzano negativamente la dimensione familiare.
Appare evidente, dunque, che il concetto di "normalità" è inesorabilmente legato a un dato contesto e che, conseguentemente, non può che sottostare al principio del relativismo, secondo cui, ciò che è normale per alcuni, è "anormale" per altri.
In conclusione, quel che realmente conta, quindi, rimane la qualità della genitorialità, indipendentemente dal fatto che essa sia biologica, sociale, omosessuale o eterosessuale.
Dr.ssa Nunzia Spinelli