da un nostro lettore riceviamo e pubblichiamo:
La denuncia da parte del marito della donna di un Comune della Valle dell’Ufita, queste le iniziali della signora E.A. la quale è stata sottoposta ad intervento chirurgico di colecisti nel mese di agosto presso un ospedale campano. La storia ha dell’incredibile, in quanto la signora operata verso fine agosto in laparoscopia dopo quattro giorni viene dimessa e mandata a casa.
La mattina successiva alle dimissioni E.A. accusa forti dolori all’addome, tanto da chiedere al figlio ivi presente, di praticargli una puntura contro il dolore, cosa che gli viene praticata, nella circostanza uno dei figli contatta il padre al lavoro per informarlo dell’accaduto, il padre preoccupato, contatta a mezzo proprio cellulare, il medico di famiglia chiedendo la visita domiciliare del professionista. Questo una volta sul posto si rende conto della situazione ed informa il marito, dicendogli che forse è il caso di riportare di nuovo la moglie in ospedale in quanto i dolori che lamenta all’addome potrebbero essere qualcosa di più serio.
Il marito si precipita a casa, preleva la moglie, è verso le ore 14.00 circa si trova di nuovo al pronto soccorso dell’ospedale Rummo di Benevento, dove al medico di turno racconta quanto accaduto. Quest’ultimo, sottovalutando la cosa dice di attendere il proprio turno, poiché vi sono altre persone arrivate prima e con codici più urgenti. Non contento della risposta ricevuta e ritenendo la cosa di una certa gravità, il marito si precipita nel reparto di chirurgia d’urgenza, dove il giorno prima la moglie era stata dimessa. Qui è avvicinato da due persone le quali asseriscono di essere due medici, e che sono in attesa per visitare la signora.
Portata in reparto, il marito pone alcune domande al medico responsabile, il quale non si pronuncia in merito, perché a suo dire, bisogna fare i dovuti accertamenti e valutare bene sul da farsi. Alle ore 18.30 circa E.A. dopo un ecografia addominale viene portata in sala operatoria per subire un secondo intervento, non in laparoscopia ma con taglio tradizionale in quanto andava pulita del liquido che si era riversato nell’addome a seguito della perforazione dell’intestino avvenuto durante il primo intervento, l’intervento di cui sopra terminava verso le ore 22.30 circa.
La sera successiva la donna sembra stare bene e non lamenta nessun dolore, tanto da dire al marito di andare a casa e preparare la cena per i figli. Il pomeriggio successivo il marito torna a fare visita alla moglie è trova il quadro clinico completamente cambiato dalla sera precedente, difatti nota la stessa in uno stato di semi-incoscienza e con una sacca di plasma al braccio per una trasfusione.
Per tutta la sera il marito cerca di capire attraverso gli infermieri di turno e medici di transito in quel reparto, cosa fosse successo, ma senza ricevere spiegazioni esaustive, fino a quando la mattina dopo verso le ore 08.00 viene contattato il medico di turno, che a suo dire era stato impegnato tutto la notte per un intervento chirurgico al quanto delicato. Quest’ultimo, riferisce che la moglie aveva subito un abbassamento di emoglobina e pertanto necessitava di una trasfusione, lo stato di debolezza e semi-incoscienza in cui versa la donna è una conseguenza di questo valore troppo basso.
Non contento di quanto appreso, in virtù dello stato di salute della sera prima, il marito, insiste anche col medico del turno di mattina, asserendo che la cosa dal suo punto di vista è molto più seria e preoccupante di quanto sembra. Nella circostanza il medico, decide di eseguire un’ecografia addominale e successivamente una Tac cranica al fine di evidenziare eventuali problemi connessi ad una mancanza di ossigeno al cervello.
Dagli accertamenti i risultati davano esiti negativi. Solo verso le ore 14.15 circa, si ritiene opportuno e si chiede una consulenza da parte di una dott.ssa del reparto di rianimazione, la quale constatava che la donna aveva difficolta respiratoria. Nella circostanza la dott.ssa si prodigava e monitorava la donna affinché prendesse conoscenza, ossigenandola con le apparecchiature poste in prossimità del posto letto. Verso le ore 15.30 circa la stessa, chiedeva al marito su eventuali allergie della moglie, asserendo di volere effettuare una Tac con mezzo di contrasto ai polmoni, dall’accertamento risultava una ostruzione ai polmoni di circa il 70% con una grave infezione in atto.
Alle 16.30 circa la decisione della dott.ssa è stata quella di portare subito la donna nel reparto di rianimazione, dove era sedata, intubata e ossigenata attraverso macchinari idonei. Dopo qualche giorno, durante le consuete e incessanti visite pomeridiane del marito e di alcuni familiari, si apprendeva durante una consulenza con i medici sull’andamento e lo stato di salute della donna, che richiedeva un nuovo intervento chirurgico “il terzo nel giro di dieci giorni circa “poiché si era evidenziato attraverso un’ecografia, un accumulo di sangue nella milza, la prova era confermata dalle trasfusioni di emoglobina praticata, il quale non saliva di valore restando stazionaria.
La decisione presa dai medici è stata quella di asportare subito la milza, onde evitare un’implosione e di conseguenza un’emorragia interna, da premettere che quest’ultimo intervento è stato praticato con due infezioni già in atto, quella riguardante i polmoni e quella relativa all’addome. Dal giorno 31 agosto fino al giorno 26 settembre la signora è stata ricoverata nel reparto di rianimazione, ricevendo le dovute cure ed attenzioni del caso.
Dal giorno 27 settembre al 22 ottobre giorno di dimissioni, la donna è stata nel reparto di pneumologia, dove è stata assistita adeguatamente sia sotto l’aspetto professionale che quello umano.
Considerazioni da parte del marito di E.A.