DNA, incontri di fotografia con Francesco Truono: l’intervista

di , Domenica, 05 Maggio 2013

Salernitano, nella rosa dei migliori 4 fotografi europei di jazz, pubblicazioni prestigiose e mostre in giro per l’Italia alle spalle, Francesco Truono è stato ospite di DNA, ad Ariano Irpino, per un nuovo incontro di fotografia. Fotografia di oggi e di ieri, nuove tecniche e tecnologie, libertà e creatività,passione per il jazz, Francesco Truono a tutto campo per Città di Ariano.

 

Come nasce il connubio tra jazz e fotografia?

 

E’ una passione nata per caso grazie ad un amico musicista che mi ha introdotto in quel mondo, che mi affascina tanto. E poi credo di essere un musicista fallito, mi piaceva il mondo della musica e non suonando ho scelto di farne comunque parte attraverso la passione per la fotografia. Ho un amore incredibile soprattutto per il mondo jazz nero americano. Diciamo che ho sconvolto il mondo del jazz introducendo i colori e la ricerca del minimalismo.

Qual è la sua impronta, lo stile prevalente?

 

Non credo di avere uno stile particolare e penso non si possa parlare di impronta specifica per un semplice motivo: le variabili sono talmente numerose che un fotografo non può conoscere quello che troverà davanti, condizioni atmosferiche, luce. Ciò che conta è soltanto avere una grande passione per quello che fai, vedi e senti. Allo stesso modo ritengo inutili le etichette che spesso vengono attribuite nel mondo della fotografia: fotografo di cerimonie, di jazz. Fare una fotografia di jazz non significa non saper fare foto da strada. Non esistono nicchie nella fotografia così come nella musica. In fin dei conti si fotografano gli uomini, le donne, le persone che nel contesto della musica cercano di dare un messaggio e il fotografo deve sapere interpretare questo messaggio attraverso uno scatto, che io definisco carta colorata.

 

Immagine, post produzione, foto di ieri e di oggi: cosa è cambiato? Quali differenze? Quali insegnamenti?

 

Ritengo che non si possa insegnare l’arte della fotografia, così come si intendeva una volta. I riferimenti sono cambiati adesso, c’è il digitale che ha sconvolto la fotografia. Abbiamo uno strumento che finalmente ci permette di essere liberi da quelli che definisco i guru, i santoni di questo settore che mantengono in vita i morti perché non hanno creatività e scoraggiano i giovani fotoamatori con entusiasmo e nuove idee. E dunque spesso la gente si convince che la strada da seguire è quella fatta di canoni stabiliti da altri e di fotocopie. Grazie al digitale abbiamo realizzato che il bagaglio precedente non serve più e dunque via libera alla creatività. Tuttavia, purtroppo, in questo margine di libertà del digitale, la gente sempre più spesso dà peso alla post produzione perdendo di vista la sostanza, cioè l’immagine. La maggior parte delle persone è convinta che l’immagine venga creata da Photoshop. L’immagine è creata dal fotografo, che deve curare alcuni aspetti particolari e soprattutto composizione ed esposizione. Una volta che questi due parametri soddisfano le esigenze di chi ha scattato non serve altro. Per post produzione dovrebbe intendersi soltanto l’elaborazione creativa del proprio scatto. Per parlare di fotografia è necessario partire dalle stampe perché l’immagine che si vede su facebook o sul monitor può non rispecchiare la realtà.



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