Divieto di testamento reciproco
Secondo quanto previsto dall’art. 589 del Codice Civile è fatto espresso divieto di testamento
congiuntivo o reciproco, ovvero qualora due o più persone dispongano, nello stesso atto,
l’una in favore dell’altra. Al contrario è consentito che due o più persone, in atti separati,
dispongano l’uno in favore dell’altra (c.d. testamento corrispettivo).
La ratio legis di questo divieto sta nella necessità di assicurare che il testamento possa
sempre essere revocato. Difatti, per revocare il testamento congiunto o reciproco servirebbe
il consenso dell’altro testatore, motivo per cui la legge ne prevede l’invalidità.
L’esigenza di salvaguardare la spontaneità della volontà del testatore e la libertà di revoca
delle disposizioni testamentarie ha indotto il legislatore a stabilire una presunzione assoluta
di mancanza di libera e spontanea espressione della volontà dei testatori per aver disposto
nel medesimo atto nelle due forme del testamento congiuntivo semplice o del testamento
congiuntivo reciproco, senza quindi consentire di provare che la congiunzione delle
disposizioni testamentarie sia un fatto meramente estrinseco e non abbia compresso la
volontà dei contraenti.
Tale norma, dunque, sanziona di nullità l’ipotesi di un unico testamento contenente due o
più sottoscrizioni in violazione dei requisiti formali richiesti per il testamento olografo
dall’art. 602 c.c, dove si evince il richiamo ad una attività di redazione e sottoscrizione
dell’atto da parte di un unico soggetto.
Al contrario, i testamenti simultanei non sono contrari a norme di legge e dunque sono
ritenuti validi, ma possono essere colpiti da invalidità quando sono l’esecuzione di un
precedente accordo concluso tra i testatori avente ad oggetto l’impegno di ciascuno a
disporre in un certo modo della propria successione.
Il divieto di patti successori, sancito dall’ art. 458 c.c. prevede la nullità di qualsiasi
convenzione con cui si disponga della propria successione o dei diritti che dipendono dalla
successione non ancora aperta di un altro soggetto, anche rinunziandovi.
La giurisprudenza è granitica sul punto, in quanto prevede la totale nullità di tali atti. La
dottrina, invece, prevede una classificazione di tali patti successori, distinguendoli in tre
tipologie:
1. I patti istitutivi;
2. I patti dispositivi;
3. I patti rinunciativi.
Con i primi si intende un contratto con i quali ci si impegna a disporre del proprio
patrimonio dopo la morte a favore di una determinata persona; i secondi si riferiscono agli
accordi conclusi dal presunto futuro erede con un terzo in relazione a beni appartenenti ad
una successione non ancora aperta; con i terzi si intendono quei negozi con i quali un
soggetto rinuncia ai diritti che gli possano comunque derivare da una successione non
ancora aperta.
L’individuazione dell’esistenza di un patto successorio risiede nell’intenzione di disporre
dei suoi beni in un determinato modo, ovvero laddove si evinca la sussistenza del dolo di
compiere tali atti.
Lo ribadisce la Cassazione Civile con Ordinanza del 21.02.2022 n. 5555, secondo cui non
deve ricondursi nella fattispecie astratta del patto successorio la semplice e generica
promessa verbale manifestata all’interessato, o a terzi, di disporre dei propri beni in un
determinato modo, poiché tale manifestazione, non creando di fatto un vincolo giuridico,
non può ritenersi idonea a limitare la libertà del testatore, che è oggetto di tutela legislativa.
La promessa di istituire erede il prestatore d’opera in corrispettivo della sua attività, ove
non risulti attuata mediante convenzione avente i requisiti di sostanza e di forma di
un patto successorio (art. 458 c.c.), ma sia limitata ad una mera intenzione manifestata dal
datore di lavoro, non costituisce menomazione della libertà testamentaria e non rientra,
quindi, nel divieto di cui al citato art. 458 c.c. In siffatta ipotesi la indicata promessa non
produce la nullità del rapporto di lavoro per illiceità dell’oggetto o della causa, ai sensi
dell’art. 1418 c.c., ma è semplicemente rivelatrice della onerosità, nella intenzione delle parti,
del rapporto stesso, per cui il prestatore d’opera ha diritto indipendentemente dalla
promessa medesima alla retribuzione che gli compete, secondo la natura e l’entità della
prestazione.
A cura dell’Avv. Guerino Gazzella - 01/09/2023