Riceviamo e pubblichiamo una lettera della dottoressa Daniela De Rosa
Sono passati circa 10 mesi dalla mia esperienza con il Covid-19 ,diagnosticato e curato presso questo ospedale, eppure è tutto ancora vivo nella mia mente, nel mio cuore e sarà sempre così credo e credo debba essere così.
Sono stati spesi milioni di concetti per parlare ognuno della propria esperienza con questa maledetta pandemia; chi l'ha toccata, chi l'ha provata, chi l'ha evitata, chi l'ha curata, chi l'ha negata e chi purtroppo l'ha patita e ci ha lasciati.
Abbiamo tutti gli stessi occhi, ma non la stessa sensibilità, non la stessa anima, per cui pur vivendo e guardando le stesse cose, vediamo cose diverse e quindi ognuno ha avuto ed ha ancora la sua esperienza Covid-19.
Io ho avuto la mia malattia, l'ho avuta nel corpo, nella mente nel cuore. Mi ha strappata alla mia famiglia per 24 giorni lunghissimi e tremendi. Ho avuto più volte paura di non farcela e di perdere tutto. Con il Covid e a 43 anni è stato un attimo finire in ospedale, è stato un attimo sentirselo addosso, è stato un attimo essere ricoverato, è stato un attimo essere isolata, è stato un attimo e non ci ho capito più nulla.
Nonostante la presenza di numerosi momenti di debolezza fisica e psichica nella mia degenza, dovuti magari al risultato di un esame o di un tampone che tendeva sempre più ad arrivare tardi, ho sempre avuto l'appoggio morale e fisico di persone che fin da subito hanno percepito e colto le mie fragilità,amplificate dal pensiero verso i miei cari che si sono trovati al centro di un incubo e delle mie due bimbe che si sono trovate senza la mamma.
Per molti giorni dalla finestra della mia stanza in questo ospedale ho visto il sole saltellare sopra i tetti, ma mi sono sentita fin da subito in buone mani.
Non siete né angeli né eroi ma persone vere.
Siete rimaste tutte nel mio cuore, quel cuore che avete curato e riportato a casa alla sua vita.
Dopo mesi di assestamento, e ancora ci provo a convincermi che sia finita, presso la mia tanto amata e desiderata casa, mi sembrava doveroso lasciare a voi un messaggio e ho pensato di farlo con queste parole e la mia donazione a questo reparto, augurando che questa pandemia possa, giorno per giorno, scomparire.
DONARE non è semplicemente regalare qualcosa, ma contiene un certo dono di sé all'altro e con esso il desiderio di legarsi a lui con un atto che cementa quel patto.
All'offerta di un riconoscimento segue l'attesa di un riscontro che non sia un rientro.
Allora il dono riesce quando risponde all'esigenza di reciproco riconoscimento.
Il mio riconoscimento a voi per avermi salvato la vita ed il vostro nel gradire questa mia offerta all'ospedale che mi ha accolta è curata.
Grazie, Daniela.