La crescente massa di negazionisti testimonia un’esigenza, proprio in qualità di reazione emotiva e irrazionale al problema della Pandemia. Non possiamo reggere a tutta questa pressione, abbiamo bisogno di evasione:“La realtà deve essere un complotto o mi fa paura” riassume una vignetta di Mauro Biani. Freud definiva la negazione come uno dei più potenti meccanismi di difesa che la mente adotta per non soffrire; e appartenere ad un gruppo di persone che ci sostiene nel dire che il Covid non esiste, che sia un complotto o che alla fine non è nulla di grave, ci fa sentire più tranquilli. Basti pensare che anche questo articolo in fondo avrà già stancato molti di voi per lo stesso motivo: “Ancora di Pandemia parla questo, basta, lo sappiamo.” La motivazione che spinge a scrivere, però, è la sensazione che il parlare troppo di virus sia concausa del problema, proprio perché non permette di parlarne bene. Guardare la miriade di siparietti tra regioni e governo, tra Asl e ospedali locali, tra maggioranza e opposizione, in fondo, stanca! Il parlare troppo di un argomento e, soprattutto, senza unità di intenti crea lacerazioni nel tessuto sociale e destabilizza il singolo individuo. Il tentativo è quindi quello di porre l'accento proprio su tutto questo, per razionalizzare e imparare a focalizzarci sui problemi concreti che affrontiamo, come società più che come singoli. Un ottimo tentativo di fare questo è stata, ad esempio, la puntata di Zona Franca (https://youtu.be/8mB2ZU01sx0) che si è svolta giovedì 12 novembre negli studi di Città di Ariano, che ha cercato di ricordare e illuminare il quadro economico sociale arianese.
L’accusa sarebbe dunque questa: la vaga retorica e l'esasperazione di un problema già complesso come il Covid permette, a chi si trova ai vertici del potere, di dire che in fondo il virus è troppo più grande di noi e che non ci sono i mezzi per affrontarlo! È sempre colpa degli altri, addirittura degli immigrati. Per il resto si fa quel che si può! Da questo tipo di narrazione deriva una mancanza di fiducia nelle stesse istituzioni e la perdita di credibilità alimenta l’irrazionalità della discussione attorno al problema. Perché stupirci dunque del negazionismo?
Lockdown sì, lockdown no! Sembra quasi di sentir cantare Elio e le storie tese, una colonna sonora al dramma italiano e soprattutto campano che viviamo. Buttarla in caciara, aumentare la mole di informazioni nonpermette di porre le giuste domande. Saviano, il famoso giornalista d'inchiesta, a di Martedì qualche giorno fa, sottolineava quanto “la retorica della sanità che funziona” renda poco credibile le istituzioni. Sia chiaro, il riferimento non è al personale ospedaliero, il quale anzi proprio per atti di eroismo sta tenendo in piedi un sistema che in realtà è evidentemente fallito. Ascoltare un presidente di Regione esporre, con una narrazione quasi attoriale, i problemi e le decisioni da prendere tranquillizza molti da un lato, ma solo perché già nella forma nega le difficoltà. È chiaro che trovarsi di fronte al terribile video del paziente esanime al Cardarelli lascia tutti fuori dai panni, ma è altrettanto prevedibile la risposta volta, più a calmare che a prender atto di un crollo sistemico. Sulla nostra pelle di arianesi poi, oggi viviamo il dramma del Frangipane che, sempre ingolfato ormai da giorni, assiste al susseguirsi di morti e all’aumentare dei contagiati, anche tra il personale. Sorvoliamo sulla mancata distribuzione equa dei posti letto sulla zona irpina da parte dell’Asl, su cui ancora si attende un intervento da parte della nostra giunta comunale, la quale per ora si è solo unita al coro confuso di retorica e lotta tra maggioranza e opposizione. La vera causa di quanto sta accadendo negli ospedali non è forse da trovarsi, oltre che nella scellerata gestione passata della sanità locale, anche nella mancanza attuale di dialogo tra istituzioni? Non potrebbero, piuttosto, assumersi le proprie responsabilità ammettendo colpe e cambiando direzione nelle decisioni da prendersi? Il De Luca di turno, lo sceriffo che prende in giro la mamma con il bimbo che vuole andare a scuola, ha probabilmente delle responsabilità non solo concrete ma anche per il tipo di retorica usata, che non permette di svelare le questioni nodali per affrontarle. Come al Presidente di regione, il richiamo oggi lanciato è rivolto a tutti coloro che si trovano nei posti di vertice. Un invito a cambiare le modalità di discussione: smettiamo di parlare tanto ma parliamo bene. Passiamo dalla quantità di parole alla qualità.
Per chiunque, poi, abbia avuto l'ardire di giungere sino alla conclusione dell'articolo si suggerisce pazienza. Non la pazienza che ignora il problema opposta alla rabbia che lo nega, ma una capacità di prendersi il tempo necessario per informarsi, discernere e collocarsi nel proprio tempo, in modo da dare un senso al contenuto delle proprie azioni. Scegliere come agire nel modo giusto richiede oggi all’uomo comune una forte capacità di analisi e autoanalisi, ma la consapevolezza è il primo passo e questo articolo vuole permettere di iniziare a camminare.