Domenica 18 Marzo ore 18:30 presso l'Auditorium Comunale per la Stagione Teatrale SulReale 2017/2018 uno spettacolo inedito ed imperdibile
Infanzia e Famiglia
Nacque ad Avellino nel 1893, da Emilia di Nolfi e Mariano Cianciulli. La sua fu un’infanzia difficile, da lei così descritta: “Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso, non avevano per me le attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava perché non aveva desiderato la mia nascita [nota: la madre di Leonarda fu violentata dall’uomo che fu poi costretta a sposare; Leonarda Cianciulli è il “frutto” di quello stupro (g.d.m.)]. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l’altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l’intenzione di morire, e mangiai due cocci di vetro: non accadde nulla”.
Nel 1914 sposò Raffaele Pansardi, un impiegato dell’ufficio del registro e andò a vivere nell’Alta Irpinia, ad Ariano.
Nel 1930, in seguito al tragico terremoto dell’Irpinia, la loro casa venne distrutta e decisero di trasferirsi a Correggio, in provincia di Reggio Emilia. Qui, fu grazie ai soldi del risarcimento statale concesso ai terremotati che le condizioni dei coniugi Pansardi si risollevarono e al commercio degli abiti usati portato avanti da Leonarda.
La Cianciulli ebbe 17 gravidanze, ma le sopravvissero solamente 4 figli.
Probabilmente disperata da tante perdite, questi 4 bambini erano diventati per lei un’ossessione.
Nel 1939 Giuseppe, il figlio maggiore da lei prediletto che studiava lettere all’Università di Milano e lavorava come istitutore al Collegio Nazionale di Correggio, doveva partire per il servizio militare e la minaccia dell’entrata dell’Italia in guerra era sempre più incombente. Bernardo e Biagio, invece, frequentavano il ginnasio e Norma, l’ultima figlia, andava all’asilo.
Nella Cianciulli cominciarono a farsi strada pensieri sempre più tormentati, tanto da decidere che per salvare la vita dei suoi figli avrebbe dovuto fare dei sacrifici umani. Sembra che anni prima si fosse fatta leggere la mano da una zingara e che questa le avesse detto: “Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti i figli tuoi moriranno”. Quindi si rivolse ad un’altra zingara ancora che le disse: “Vedo nella tua mano destra il carcere e nella sinistra il manicomio”.
Di quei momenti così tragici ricordava alcuni pensieri: “Non posso sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sogno le piccole bare bianche di quegli altri, inghiottiti uno dopo l’altra dalla terra nera….. per questo ho studiato magia, ho letto libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture e spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli”.
Leonarda frequentava tre amiche, donne sole e non più giovani che avrebbero volentieri fatto qualsiasi cosa per cambiare le loro vite.
Primo omicidio
La prima vittima si chiamava Faustina Setti. La Cianciulli le disse di averle trovato un marito a Pola, le consigliò di vendere tutto, ma si raccomandò con l’amica di non parlarne con nessuno perché avrebbe potuto scatenare delle invidie. Il giorno della partenza, Faustina si recò a casa della Cianciulli per salutarla. Dato che Faustina era semi analfabeta, Leonarda le offrì il suo aiuto, invitandola a scrivere alcune lettere e cartoline per amici e parenti che avrebbe poi spedito da Pola, nelle quali diceva di stare bene e che tutto procedeva per il meglio. L’amica però non giunse mai a destinazione. Quel giorno stesso, la Cianciulli la finì a colpi di scure e la trascinò in uno stanzino. Qui sezionò il cadavere e fece colare il sangue in un catino. A tal proposito, nel suo memoriale, scrisse: “Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comperato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina e mescolai il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io”.
Qualche giorno dopo il suo primo omicidio, mandò il figlio Giuseppe fino a Pola affinché imbucasse le lettere della vittima per farle giungere ai destinatari con il timbro postale giusto e vendette i suoi indumenti.
Gli altri omicidi
La seconda vittima si chiamava Francesca Soavi, sognava anche lei di andar via da Correggio, ma non sperava nel matrimonio e si sarebbe accontentata di trovare impiego in un altro luogo. Leonarda le disse di averle trovato un lavoro nel collegio femminile di Piacenza. Francesca accettò con gratitudine e la mattina del 5 settembre 1940 raggiunse l’amica per salutarla. La Cianciulli convinse la donna, senza fatica, a scrivere due cartoline che avrebbe dovuto spedire da Correggio per annunciare ai conoscenti la partenza evitando di far capire ai ficcanaso la destinazione. Posata la penna Leonarda, come da copione, si avventò sulla donna e l’uccise. Da questo omicidio però guadagnò solo 3000 lire che la vittima aveva con sé. Per ricavare maggiori guadagni, i giorni successivi Leonarda disse che era stata incaricata da Francesca a vendere tutti i suoi beni e i mobili. Giuseppe, su incarico della madre partì per Piacenza e spedì le cartoline.
La terza ed ultima vittima era una ex cantante lirica, cinquantatreenne, costretta a vivere in miseria. Si chiamava Virginia Cacioppo. Con lo stesso metodo Leonarda le propose un incarico a Firenze, come segretaria di un misterioso dirigente teatrale che, magari, avrebbe potuto reintrodurla nell’ambiente. Pregò anche questa di non farne parola con nessuno, dicendo che l’uomo era stato suo amante e che se si fosse sparsa la voce che lei lo vedeva ancora la sua famiglia l’avrebbe disprezzata. Virginia, entusiasta della proposta, mantenne la promessa e il 30 settembre 1940 si recò da Leonarda. Di lei la Cianciulli disse: “Finì nel pentolone, come le altre due…la sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce”.
La cattura
Fu la cognata dell’ultima vittima ad insospettirsi dell’improvvisa sparizione di Virginia, che aveva visto entrare nella casa della Cianciulli prima di far perdere le sue tracce per sempre. La casa della stessa donna che poi aveva messo in vendita i vestiti della Cacioppo. Decise quindi di confidare al questore di Reggio Emilia i suoi sospetti, il quale seguì le tracce di un Buono del Tesoro di Virginia, presentato al Banco di San Prospero dal parroco di San Giorgio, a Correggio. Convocato dal questore, il prete disse di aver ricevuto il buono da Abelardo Spinarelli, amico della Cianciulli. Lo stesso Spinarelli dichiarò di averlo ricevuto dalla Cianciulli per il saldo di un debito. Le tracce condussero quindi le indagini fino a Leonarda che confessò senza fare molta resistenza i suoi tre omicidi. Gli inquirenti però non riuscivano a credere che una donna anziana, bassa e grossa avesse potuto fare tutto questo da sola e andarono alla ricerca di un complice che l’avesse aiutata a compiere i delitti. Il sospettato numero uno era il figlio Giuseppe che al processo (1946) dichiarò di aver spedito le lettere, senza però sapere la verità. La madre, intenzionata a difendere con quante forze aveva il figlio, propose una dimostrazione atta a far capire che lei era l’unica artefice di quella mattanza. Davanti a magistrati e avvocati, in soli 12 minuti, sezionò il cadavere di un vagabondo morto in ospedale e procedette con le tecniche di saponificazione.
La condanna
Leonarda Cianciulli fu riconosciuta come unica autrice dei tre omicidi, venne condannata a 30 anni di reclusione e a tre anni di manicomio giudiziario. In carcere scrisse, lavorò ad uncinetto e cucinò biscotti che nessuno aveva voglia di assaggiare. Riceveva le visite dei figli. Il 15 ottobre del 1970 morì nel manicomio giudiziario per donne di Pozzuoli, stroncata da apoplessia cerebrale.